Pantaloni a zampa attillati e bikini d'antan, così la trentenne Annette Peacock si faceva immortalare durante le session di registrazione di "I'm The One". A giudicare dall'ambientazione, dalla posa e dal look, sembra il set del tarantiniano "Death Proof". E invece no: è il 1972 e quelli sono gli Rca Studios di New York. Una silhouette sensuale e aggressiva si adagia - voluttuosa come una moderna Venere di Milo - lungo i bordi di un sintetizzatore Moog. Un po' fata e un po' pantera, chissà quanti uomini avranno perso la testa alla vista di quelle forme sinuose! Tanti, forse tantissimi, tra cui pure due apostoli del free-jazz come Gary Peacock e Paul Bley, rispettivamente primo e secondo marito dell'affascinante Annette.
A formarla come musicista furono proprio i circoli culturali della New Thing e dell'avanguardia newyorkese: all'alba degli anni Sessanta era in tour con Albert Ayler, mentre al tramonto riceveva in regalo direttamente da Robert Moog un prototipo dei suoi omonimi sintetizzatori modulari, grazie al quale Annette dava avvio a un'intensa fase di sperimentazione che, dopo "Revenge" in coppia con Bley, l'avrebbe condotta alla prima prova solista - "I'm The One", appunto.
Disco leggendario quanto ingiustamente dimenticato, quest'esordio mostra le tre facce di una musicista eccelsa: quella della cantante prodigiosa, della songwriter eclettica e della tastierista temeraria. Il risultato è uno straordinario florilegio di brani sperimentali, che attingono tanto alla tradizione classica (i lied cameristici) quanto all'avanguardia colta (lo Stockhausen di "Kontakte"), sia all'elettronica avveniristica dei "corrieri cosmici" tedeschi sia alla fusion spaziale di Miles Davis e Herbie Hancock.
Detta così, potrebbe sembrare la classica "mattonata sugli zebedei", buona solo a compiacere i pruriti onanistici di qualche critico snob, lasciando l'ascoltatore in preda a dubbi amletici riguardo alle proprie capacità interpretative. Rilassatevi, con Annette Peacock non andrà così. Al termine di questi viaggi per pianeti sconosciuti si torna sempre sulla crosta terrestre, lì dove è iniziato tutto, lì dove il blues, il jazz e il soul hanno piantato radici inestirpabili. Raramente sonorità avantgarde sono state presentate con un tale tasso di fruibilità.
È inutile sottrarsi, allora: la testa per questa sventola la perderete anche voi, non appena avvertirete nelle sue corde vocali il calore di Nina Simone e la ruvidezza espressiva di Janis Joplin, la soffice eleganza di Joni Mitchell e i borborigmi inumani del soprano Cathy Berberian. Una voce, filtrata attraverso il moog, capace ora di ammaliare con dolci melismi soul ora di turbare con vocalizzi stregoneschi.
Esempio di questa mirabile schizofrenia stilistica è l'iniziale "I'm The One", che esplora registri diversi con una naturalezza disarmante: comincia come una fanfara cosmica impregnata di umori free, prosegue in un jazz-funk disturbato da fragori elettronici e sfuma, infine, in una disperata ballata soul. L'altro brano-manifesto è "One Way", nel quale un tappeto di poliritmi alieni fa da intro a un maestoso poema R&B, declamato dalla dea Annette sui commoventi intrecci di chitarra, organo e sax. La dea muta poi in megera nell'honky-tonk cimiteriale di "Blood" per trasformarsi di nuovo in un'anima errante in cerca d'amore nella sublime cover di "Love Me Tender".
In molti episodi la destrezza della band di supporto - in cui spiccano la chitarra di Tom Cosgrove, la batteria di Rick Morotta e il sax tenore di Michael Moss - risulta determinante, ma anche quando rimane sola al pianoforte, Annette sfoggia una classe inarrivabile, come nella meravigliosa torch song "7 Days".
Pene d'amore lenite solo dall'esplosione libidinosa di "Pony", in cui un groove bollente si inerpica lungo gemiti licenziosi, mentre tutt'intorno è un amplesso funk, con le chitarra a eiaculare litri di wah-wah. L'ultima cavalcata verso l'infinito è quella di "Gesture Without Plot": prima l'infinito dello spazio, tra brusii elettromagnetici e liquidi tocchi di vibrafono, poi l'infinito dell'animo umano, in cui Annette si addentra accompagnata solamente da pochi accordi di pianoforte.
Ci sarebbe da raccontare ancora molto di Annette Peacock, del suo prosieguo di carriera che la vedrà condividere il palco con Captain Beefheart e la sala di registrazione con Bill Bruford, cedere alle lusinghe di Salvador Dalì, che la volle per i suoi ologrammi, e resistere invece a quelle di David Bowie, che non riuscì in nessun modo a strapparle una collaborazione. Sporadiche testimoninaze, queste, di un apprezzamento trasversale, che ha reso Annette Peacock personaggio leggendario e questo suo esordio uno dei più sfuggenti dischi di culto.
Recentemente ristampato dalla Future Days Recordings, "I'm The One" è un disco che chiunque ama la musica non può ignorare. Non può non amare.
02/09/2012