Dadamah

This Is Not A Dream

1992 (Majora)
psychedelic-rock

Senza dubbio: questo disco "non è un sogno". E' molto di più: è l'avvento del semplice e dell'eterno gioco del mondo. Ma lì dove è il "semplice" e il "gioco", lì è anche l'"incanto", ciò che si ripete puro e senza macchia. Roy Montgomery, lontano nella sua terra dimenticata (Nuova Zelanda) è probabile abbia capito quanto la Musica sia divina se lasciata vagare in circolo, come in un girotondo infernale; e quanto, poi, alla fine, di questo girotondo non resti niente di concreto, ma solo una gioia pericolosa. Quella stessa che s'insinua in ogni accordo della sua chitarra; quella stessa che preme sui limiti della "forma-canzone", distruggendone il senso e la necessità. Così, la musica diventa litania, parossismo dello spirito inquieto; e lascia che ogni nostra emozione diventi un'altra, e poi un'altra ancora, fino allo sfinimento, fino al delirio che è già presentimento della fine.

Adagiarsi e lasciarsi dondolare dal respiro tenue e malinconico di "Prove", equivale a farsi carico della sua tessitura malata, a tratti morbosa, una tessitura di cui i Velvet Underground sono stati gli unici "cattivi" maestri.

C'è qualcosa in tutto "This Is Not A Dream", nella sua "trance" esasperata, che si mantiene in disparte, quasi non avesse alcun bisogno di rivelarsi appieno. Dietro questo suono prossimo al caos c'è, probabilmente, una intera civiltà musicale che cerca la sua definitiva consacrazione, il suo anelito più grande. Prendete il crescendo di "Limbo Swing". Immaginate una "Sister Ray" dolciastra, senza redenzione. Immaginate una voce sommersa dalla sua stessa tensione emotiva. Il buco nero in cui tutto sembra precipitare è l'ultimo spazio vergine: al di là, solo un estatico disperdersi. Il boogie "reediano" di "Papa Doc" viene infestato da un organo abulico posto sullo sfondo. Due voci si fronteggiano in maniera asincrona. Due registri diversi: un unico stato d'animo. Che, in sostanza, è lo stesso che pervade tutta la struttura agonizzante di "Too Hot Too Dry", immersa in un languido chitarrismo "psych". Anche qui, i Dadamah si dimostrano eccellenti nel tratteggiare ballate "metafisiche", calibrando in modo magistrale stasi e caos, sprazzi di melodia e rumorismi in perfetto stile Pere Ubu.

Ad ogni modo, in "Brian's Children" viene eliminato lo sviluppo lento e inesorabile del brano, attuando una decisa quanto improvvisa cesura tra l'intro intimista e quel baccanale diretto verso le stelle. Tuttavia, anche qui si conserva intatto il gusto per la "circolarità" del fatto musicale. Una "circolarità" che si fa evocazione di paesaggi millenari in "High Tensione House". Anzi, forse sarebbe meglio sottolineare come ogni minima particella sonora conservi dentro di sé gia un minimo di "eternità", un minimo, appunto, di quella "circolarità" inesorabile e terribile. La declamazione di Montgomery è austera, carica di pathos; in fondo: inquieta. In netto contrasto, dunque, con la soavità dello scenario musicale, predisposto in modo tale da sembrare un "non-brano" di ambient-music a là Brian Eno.
Con questa traccia termina l'edizione originale in vinile, pubblicata con l'appoggio della Majora, piccola etichetta di Seattle. Nel 1995 la Kranky ha ristampato l'album in Cd, cambiando la copertina e aggiungendovi cinque brani tratti dalle stesse sessioni.
La prima di queste tracce bonus è l'evanescente "Nicotine", tra drumming tribale, organo intermittente e depressione imperante. Il canto della Pieters è solo un marasma crepitante di emozioni gelide ed ermetiche. Non è un caso, allora, che "High Time" guardi al gotico britannico per disseminare ulteriore tensione "implosa" dentro la macrostruttura del disco. Il "groove astrale" di "Scratch Sun" si erge imponente in mezzo a un mare di vortici cacofonici, tessendo una scia luminosa che è come un filo d'Arianna per i sussulti "primitivisti" della chitarra. Tutto il brano si regge su di una impalcatura astratta, presentandosi come un unico grande affresco di arte post-moderna. Sul versante di certo garage-rock in perfetto stile "sixties" (13th Floor Elevator, Sonics, etc.) si situa "Radio Brain", cui giusto l'uso di interferenze varie conferisce un grado superiore di eccentricità. Senza dimenticare, però, le ulteriori "astrazioni" che germogliano lì dove il basso della Pieters e le tastiere della Stagg fanno scintille. Gli accordi reiterati di "Replicant Emotions", infine, lasciano che si dipani l'ultima nebulosa di angoscia, stavolta giusto per il tempo di non chiedersi il perché…

Che Montgomery sia un genio, in fondo, non ho mai avuto dubbi. Sta a voi, adesso, rendergli merito. In primis, regalandovi uno dei dischi più grandi di tutto il decennio passato (con buona pace di tanti che alla sua uscita nemmeno lo considerarono…); poi, adagiando la vostra anima lungo questi scenari fatti di sogni che non sono tali; di magie che si rivelano essere solo delle bugie ancestrali; di emozioni scalfite dal desiderio di quiete eterna. Lascia incredulo il fatto che un disco così sia stato pensato e registrato in una terra tanto remota. Remota come la terra dello Spirito; remota come il suo "bisogno" di porre la Vita di fronte alla sua terribile verità. Che non è tanto un gesto masochista, quanto l'unico segno della grandezza dell'uomo.

29/10/2006

Tracklist

Edizione originale in vinile (1992): brani 1-6.
Tracce bonus della ristampa in Cd (1995): brani 7-11.
  1. Limbo Swing
  2. Papa Doc
  3. Too Hot Too Dry
  4. Prove
  5. Brian's Children
  6. High Tension House
  7. Nicotine
  8. High Time
  9. Scratch Sun
  10. Radio Brain
  11. Replicant Emotions