Eels

Electro-Shock Blues

1998 (Dreamworks)
songwriter, alt-pop-rock

Cosi come nella vita, in "Electro-Shock Blues" sembra fondersi il concetto di sofferenza da filtrare ad ogni costo in qualcosa di obbligatoriamente altro per scansare l'essenza vera e propria che accompagna giorno dopo giorno le nostre azioni.
Se la musica è il credo di Mark Everett, "Electro-Shock Blues" è innanzitutto uno sconvolgente atto d'amore nei confronti della musica.
In ogni arte che si rispetti la sottile linea che separa la vita dall'aldilà è assorbita da variegate tonalità eppure difficilmente circoscrivibili all'operazione compiuta da Mr. E con "Electro-Shock Blues". Nella storia della musica siamo passati attraverso tunnel di sofferenza gettati in pasto ad affreschi che si cibavano a loro volta di dolore, ci siamo imbattuti in tonalità dove il tragico sfociava disperatamente nel grottesco o addirittura abbiamo fischiettato filastrocche spensierate nelle quali si celava l'odore della morte.
"Electro-Shock Blues" è tutto ciò e niente di ciò. Certo è qualcosa di più, un viaggio dai profondi significati: il tentativo disperato di potersi dire se stessi sistemando parallelamente coordinate difficilmente altrove poggiate sul tragitto comune.

Con l'opera prima "Beautiful Freak" gli Eels avevano assorbito psichedelica, blues, folk, country, frullando e aggiornando il tutto all'era moderna, dove hip-hop, grunge e tastierine riescono a mandare in orbita una mirabile sintesi di ciò che è stato e cio che seguirà.
Uno dei pochi modi possibili di scrivere grandi canzoni. Perché parliamo pur sempre di un'arte che si prefigge come primo obiettivo quello di appartenenza alla scuola dei grandi songwriter. Questo era "Beautiful Freaks", con le sue impronte di immediata ribellione, proprie di chi quotidianamente cerca vie di fuga da una società che ci sbandiera come disadattati. Con la sua musica E riuscì a trovare la sua isola felice. Sua come nostra.
Per forza di cose lo sguardo fu destinato a virare altrove. Ancora una volta estraneo a ciò che lo circonda, ma l'ineluttabile destino è più forte di ogni fuga possibile.

Trova un diario E: "My name’s Elizabeth, my life is shit and piss". Poi il vuoto. Sua sorella Elizabeth è morta suicida, e il suo diario contenente repressioni e depressioni di una vita intera emerge nell'incipit di "Electro-Shock Blues". Altre parole vomitate da Elizabeth sposano quelle di cui sopra. La morte è preannunciata in poco più di due minuti sussurrati tra corde centellinate, che la dicono lunga sull'essenza del viaggio che abbiamo deciso di intraprendere.
Il padre di Mark morì quando lui aveva 19 anni. Sempre avuto un cattivo rapporto con il suo vecchio: non l'ha mai conosciuto. A lui dedica "Baby Genius", quasi una ninna nanna al contrario, con le parole che accarezzano uno stuolo di carillon pronti a sorreggere una figura, quella paterna, tanto importante per la formazione del baby genius Mark quanto assente e semmai da modellare con la propria immaginazione fanciullesca.
La madre se ne andò durante il tour di "Electro-Shock Blues", consumata da un cancro che aspettava da tempo di affondare definitivamente gli artigli: forse non l'ha conosciuta abbastanza. E nei suoi giri di chitarra "Dead Of Winter" scava a fondo proprio nel doloroso trattamento di radioterapia di sua madre e nella sua lenta morte.
Il rapporto tra Mark e la sorella Elizabeth è da sempre stato tormentato e viaggiatore sul filo del rasoio, ma l'aumentare dei disturbi psichici della ragazza con il trascorrere degli anni rese gli scambi fraterni tanto arrischiati quanto alto era la crescita di un immortale affetto fraterno: ecco che "Electro-Shock Blues" diventa l'occasione per esternare, ed esplorare, il rapporto con delle persone tanto vicine a Mark per quanto concerne i vincoli di sangue, ma effettivamente, estranee. Ma per fare ciò Mr. E non si piange addosso: le sue liriche sono personali, struggenti, ma anche cosparse da quel delizioso humour nero e macabro che ne contraddistingue tutta la produzione.

A metà via tra gli sketch deliranti di Beck e il crooning mefistofelico di un Tom Waits (vedi la swingante "Hospital Food" o "Going To Your Funeral Part I"), Mr. E ci introduce di canzone in canzone, come se procedessimo tra i capitoli del suo personalissimo libro di memorie, in un mondo tristissimo e crudelmente reale.
I clangori industriali di "Cancer For The Cure" preludono a un incessante beat elettronico memore della lezione dei Soul Coughing, in cui Mark Everett innesta il ritratto vagamente nonsense ("Grandpa's happy watching video porn with the closed caption on") di una mostruosa famiglia americana (non a caso la canzone verrà inserita nella soundtrack di "American Beauty"); un efficace ritmo hip-hop, allegre campane natalizie e il "la la la la" canticchiato da Mr. E mascherano appena il tono disperato di "My Descent Into Madness" in cui la prospettiva adottata è quella della sorella di Everett, che si lamenta: "the jacket makes me straight so i just sit back and bake, you know I think I'm gonna stay" (forse la "giacca" di cui si parla è una camicia di forza?).
Il fantasma (letteralmente) di Elizabeth riaffiora nuovamente nel bellissimo pop barocco (clavicembalo e riff di chitarra agguerriti) di "Last Stop: This Town", dove lei e il fratello volano sopra la città assieme, prima di dirsi addio (la cover dell'album raffigura proprio questo elegiaco momento).

Ma in "Electro-Shock Blues" sono molte le anime che si rincorrono seguendo null'altra logica se non quella del cuore: il country scanzonato di "Ant Farm" (il violino è quello di Lisa Germano) si rivela una appassionata dichiarazione d'amore, la conclusiva "P.S. You Rock My World" è un sommesso power pop che conclude un disco solennemente funereo all'insegna della speranza ("I was at a funeral the day I realized I wanted to spend my life with you"), mentre "Climbing Up To The Moon", probabilmente l'episodio più emozionante del lotto, è un intenso brano cantautoriale (impreziosito da due illustri ospiti come Grant Lee Phillips alla chitarra e Jon Brion all'organo) che si apre in un finale orchestrale e indimenticabile.

Raramente si è sentito cantare la morte con tanta inventiva, passione, lucidità, e di certo nulla nella pur onorevole opera successiva degli Eels raggiungerà le vette qualitative di questo secondo album.
Cosi come nella vita, in "Electro-Shock Blues" la carrellata delle maschere tragicomiche che passano in rassegna è comunque destinata al capolinea. E proprio mentre il dolore senza via di ritorno sembra aver sovrastato le briciole di speranza, Mark Everett avrà terminato il volo tra le stelle e sarà pronto a lasciare la sorella Elizabeth al cielo. In un luogo dove forse la ragazza non potrà morire due volte, dove l'amore fraterno sarà custodito per l'eternità.

07/06/2009

Tracklist

  1. Elizabeth On The Bathroom Floor 
  2. Going To Your Funeral, Part I
  3. Cancer For The Cure 
  4. My Descent Into Madness
  5. 3 Speed
  6. Hospital Food 
  7. Electro-Shock Blues
  8. Efils' God
  9. Going To Your Funeral, Part II 
  10. Last Stop: This Town
  11. Baby Genius 
  12. Climbing To The Moon 
  13. Ant Farm 
  14. Dead Of Winter 
  15. The Medication Is Wearing Off 
  16. P.S. You Rock My World

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