"Zen Arcade" è la celebrazione della giovinezza.
"Zen Arcade" è melodia, rumore, cervello, cuore.
"Zen Arcade" è l'hardcore passato al setaccio, rivoltato, riplasmato da un afflato lirico indisciplinato, e, proprio per questo, vivo, bruciante, accecante.
"Zen Arcade" è passato, presente e futuro di tutti quelli che non hanno mai dimenticato il valore della "fuga", l'odore dell'amicizia appiccicata alla pelle come un cancro imperante…
Rimandare a memoria le scorribande e i cazzeggi del bel tempo che fu; assaporare la vita che si disperde dentro mille emozioni, e non tenerne conto, almeno fino a quando si avrà la forza di urlare a squarciagola canzoni come queste. Magari dribblando le paure e le angosce più subdole, senza mostrare tensione alcuna; nulla…
"Zen Arcade" è violenza, catarsi pura. Non più soltanto rito propiziatorio dell'Apocalisse, non più. Perché dietro quel muro impenetrabile di riverberi, di accelerazioni e di melodie frantumate si aggirano migliaia di provocazioni, migliaia di urla scomposte e raccapriccianti. La giovinezza che non ti aspetti: non ancora maturità, non più infanzia. Terra di nessuno: angoscia e tremore. Paura.
Paura: la parola magica su cui si regge tutta l'impalcatura musicale e narrativa di questo inarrivabile capolavoro degli Hüsker Dü da Minneapolis, Usa, e dell'hardcore tutto. Paura: ciò che in fondo, però, muove all'azione, al contrattacco. Il disagio si tramuta in risoluzione totale, definitiva. E si scoprono cose fino ad allora solo temute e/o intraviste qua e là, di sfuggita. "Something I Learned Today / Black And White Is Always Grey": così, con questi versi, Mould annuncia l'inizio della discesa verso le tenebre. Da lì, toccherà risalire, poco alla volta, lentamente… Spezzare cuori, distruggere rapporti, andare via: "Broken Home, Broken Heart" è veloce, senza compromessi, con quell'assolo vertiginoso di Mould alla sei corde che altro non è se non il simbolo della rabbia. "Never Talking To You Again" è, invece, la ballata folk che non ti aspetti, ma desolata, in fondo: irrimediabilmente. Perché si parte, certo. Ma senza meta; vagabondi irrequieti, malconci nel corpo e nello spirito. Ti si attaccano addosso il sole impossibile, abominevole; il vento che rinfranca il corpo e uccide i pensieri. Il viaggio diventa metafora, simbolo di tutto ciò che è l'uomo: disagio. "Chartered Trips", nel suo incedere quasi solenne, insegna questo e tant'altro. Progressione inesorabile di orecchiabilità e di gioia malata, irrequieta.
Si scivola via in un attimo. Si gira in circolo come dei pazzi furiosi. Il suono viene dissolto, ricomposto; dissolto ancora. I nastri mandati all'incontrario di "Dreams Recourring" svelano il tormento, rasentano l'incomunicabilità. Bisogna decidersi. In fondo, la vita è scegliere continuamente, tra mille utopie. "Indecision Time" sfodera un altro assalto frontale. Mitragliate di chitarra e batteria pestona. Norton miracolosamente (s)composto al basso. Ma non si esce così facilmente dalle proprie fantasie tormentate. Tutto frulla nel cervello come le sonagliere di "Hare Krsna", in mezzo a un assordante rito di iniziazione. La strada è quella della scoperta dell'unica vera realtà: quella della nostra anima. E quest'anima è rivolta al dolore; impreca, si agita, bestemmia. Non c'è scampo. Il corpo brucia, brucia lo spirito, brucia tutto. L'urlo disegna i contorni dell'angoscia; i confini del reale colano verso il basso. Tra sedie sfasciate e strumenti martoriati si susseguono "Beyond The Threshold" e "Pride": hardcore alla terza potenza; hardcore come solo gli Hüskers sapevano declinare. "I'll Never Forget You" è Mould al suo massimo: la sua Ibanez Flying V trivella, scava, disintegra. Ti entra nel cuore, senza bussare. E' un attimo… giusto un attimo. Ma quanto fa male, quanto! Cosa succede? Cosa succede dentro la mia testa? "What's Goin On" non dispensa risposte. Va avanti per la sua strada. Ma quel basso non ha qualcosa dei Sonic Youth? Si, certo: scorciatoie dissonanti: scorciatoie. Come le più grandi bugie, che portano sull'abisso, a chiedere il conto per tutte le nostre sconfitte e tutte le nostre illusioni ("The Biggest Lie").
La tempesta è un grumo perenne di suoni ribollenti in "Masochism World": corso accelerato per tante mezzeseghe che continuano a credere di aver capito cos'è il "punk"… Poi, per un attimo, sembra che sia tornato il sereno. Le onde si rincorrono e si annientano sulla riva. Seduti sul bagnasciuga, lasciarsi accarezzare dalle lacrime. Qui, di fronte a questo mare; di fronte a questo linguaggio inclassificabile, intraducibile ("Standing By The Sea"). Ma c'è ancora tempo per illudersi… Illudersi che da qualche parte… sì, in fondo… Ecco perché "Somewhere" risuona la carica, con una sorta di slam-dance rallentata. "One Step At A Time" e "Monday Will Be The Same" illuminano il lato più tenero della band, con due dolcissime mini-sonate per pianoforte. Ancora una volta: un attimo, giusto un attimo. Le muraglie celestiali di chitarra tornano in tutto il loro splendore nella poppeggiante "Pink Turns To Blue". Ma niente è paragonabile a "Newest Industry", 3 minuti e 05 secondi in cui gli Hüsker Dü ti prendono e ti portano via, e tu non hai scampo; ti chiedi soltanto: "E' possibile racchiudere la giovinezza in uno scenario tanto apocalittico quanto paurosamente vitale?". E, ancora: "E' possibile ripetersi con "Whatever", lasciarsi torturare dalla voce di Mould, dalla sua chitarra in odore di "shoegazer", da tutto questo sublime inno alla forza dirompente e maciullante della giovinezza?". D'altra parte, il fenomeno degli "shoegazer" non è stato l'equivalente dello zen per la generazione punk? E allora tutto torna, tutto ha un senso…
Poi, dietro tutto questo, la psichedelia: la mente alla ricerca di se stessa. Un labirinto tortuoso, immenso. Come "The Tooth Fairy And The Princess". Come l'incubo finale di "Recourring Dreams". Si, ok: c'è ancora da dire qualcosina sull'inno alla Clash di "Turn On The News", ma concentriamoci per un attimo su questi ultimi (udite, udite…) 14 minuti scarsi di glissando, distorsioni e dissonanze chitarristiche. Quattordici minuti di pause, rincorse, libertà e sogni, tumulti, sibili, miniature apocalittiche e tormenti, amori che vanno e amori che vengono, dolore... gioia… l'altra faccia (sublime) di un disco epocale. Che poi vogliate ancora sentire un inno alla Clash dopo tanta devastazione, problemi vostri…
"Zen Arcade". O "Della giovinezza".
30/10/2006