Ofra Haza

Ofra Haza

La regina d'Israele

Artista trasversale e brillante interprete di un'eredità culturale per lo più sconosciuta, Ofra Haza ha saputo combinare magistralmente canti folk e sonorità tipiche del Medio-Oriente a ritmi-dance e mode occidentali. La sue canzoni hanno fatto da ponte tra Est e Ovest, scavalcando l'ideale muro di confine che da sempre separa due mondi agli antipodi, grazie a una presenza ammaliante, una voce calda e sensuale e alcune memorabili performance

di Giuseppe D'Amato

E' il 23 febbraio del 2000 quando le radio israeliane diffondono la notizia della morte di Ofra Haza, gettando nello sconforto un'intera comunità e interrompendo bruscamente il sogno di quanti avevano trovato nella sua voce un'occasione di riscatto e il veicolo ideale per superare quelle barriere politiche, culturali e religiose che da sempre separano Oriente e Occidente, tradizione e innovazione, libertà e isolamento, angoscia e speranza.
La sua musica ha saputo parlare il linguaggio di chi non ha paura di guardare oltre quel muro, ma anzi tende una mano senza diffidenza verso realtà sconosciute, delle quali, per sua stessa ammissione, era praticamente ignara: “Conoscevo quasi nulla – rivelò - e da quel poco che potevo vedere non ne ero nemmeno affascinata”.
Cantante, doppiatrice e attrice, Ofra Haza si è rivelata un'artista a tutto tondo e un esempio di eclettismo musicale, muovendo dai canti in stile folk tradizionale degli esordi fino a evolvere verso il pop di matrice elettronica tipico di fine anni Ottanta, ricco di sfumature e contaminazioni eredità di un bagaglio culturale praticamente sterminato. Tra molte luci e poche ombre, la sua carriera ha attraversato trent'anni in ogni genere e forma, grazie anche a numerose collaborazioni con prestigiosi artisti del panorama musicale e non solo, senza però mai perdere di vista la propria identità culturale e lo spirito di devozione verso la sua provenienza ebraico-yemenita. La sua voce come il più magnifico mezzo d'espressione di quella parte di mondo distante, mistico, arcano, e le sue canzoni come occasione di scambio e possibilità di abbattere i confini: questo il senso della missione di Ofra Haza, difficile da comprendere appieno per chi vive al di qua e ha orecchie poco inclini ad affrontare e accettare modalità artistiche che percorrono binari di direzione opposta rispetto ai nostri canoni convenzionali e limitati di intendere musica.
Durante il suo cammino la regina d'Israele, così ribattezzata da coloro che l'hanno amata, ha cercato a suo modo di accorciare le distanze tra queste realtà contrapposte, senza cedere alle lusinghe del mercato discografico occidentale, ma tentando semplicemente di esportare in musica i profumi, i colori e i suoni tipici di quella parte di mondo in cui affondava irrimediabilmente le radici, innamorata com'era delle proprie origini, delle terre in cui era cresciuta e continuava vivere, degli usi e costumi della sua gente. Voce unica e inconfondibile, il suo mezzo-soprano dal registro ampio e praticamente privo di difetti le ha permesso di abbracciare un'infinità di stili differenti con disarmante facilità e rare qualità interpretative, non a caso rimarrà l'unica diva capace di conquistare una risonanza planetaria pur cantando in lingua non inglese. In poche riusciranno a seguirne le tracce, tra le più meritevoli sicuramente l'israeliana Noa e la egiziana-belga Natacha Atlas.

L'infanzia povera, la compagnia di teatro e le canzoni yemenite

Ofra HazaNata il 19 novembre 1957 nel quartiere povero Hatikva a sud di Tel Aviv, è la più giovane di nove figli, sette femmine e due maschi. I genitori la registrano all'anagrafe inizialmente come Bat-Sheva, che in ebraico significa “la settima figlia”, ma alle sorelle più grandi il nome non piace, decidono così di ribattezzarla Ofra: la madre e il padre accettano, così quando compie sei anni, le cambiano ufficialmente il nome al ministero degli Affari interni. Da quel giorno sarà per tutti Ofra Haza. Il cognome deriva dal piccolo villaggio dello Yemen “El Haz”, da dove anni prima la famiglia, messa al bando perché ebrea e isolata nel deserto, era stata portata in salvo verso Israele grazie a un ponte aereo. Dopo un periodo di assestamento passato tra Atlit, Haifa e Hadera, Ofra si stabilisce definitivamente a Tel Aviv.
Il padre Yefet inizia a lavorare come impiegato al comune, la madre Shoshanah invece è una ex-cantante di musica tradizionale yemenita, che continua ad esibirsi per matrimoni, Bar Mitzvahs e altre occasioni di ritrovo della propria comunità, ed è proprio ascoltandola che la piccola Ofra già in tenera età scopre il suo amore per la musica. Passa tutto il suo tempo a cantare davanti allo specchio, chiedendo ai familiari di sottoporla a delle audizioni, “e così le promettemmo che avremmo fatto di tutto per farla diventare una cantante, dato che era il suo unico desiderio e ci faceva letteralmente impazzire facendolo dalla mattina alla sera”, racconta Shuli, una delle sorelle.
Viene scoperta nel piccolo coro della scuola Uzi'el, dove studia, e a 12 anni entra a far parte della compagnia di teatro del suo quartiere: lì incontra quello che rimarrà suo manager per quasi trent'anni, Bezalel Aloni, all'epoca un giovanotto che sta organizzando spettacoli dai forti toni di protesta, che coinvolgano soprattutto gli immigrati, con scritture a sfondo politico contro le discriminazioni subite dalle diverse popolazioni arabe trapiantate in Israele. Bezalel chiede alla bambina di cantare. “A quei tempi adoravo Edna Lev, una cantante israeliana - raccontava Ofra - così iniziai a canticchiare 'Im Tashuv'/('If You Come Back'), ma Bezalel mi fermò dicendomi: 'Hai una voce magnifica, ma non cercare di imitare Edna, canta col tuo stile naturale''. Tra i due è subito un colpo di fulmine artistico.

In quel periodo, Ofra e gli altri membri della compagnia (la Shechunat Hatikvah Workshop Theater) incidono insieme quattro album, il primo Ahava Rishona (in inglese “First Love”) è del 1974, seguono nel 1976 Vehutz Mizeh Hakol Beseder (“Aside From That All Is Ok”), nel 1977 Atik Noshan (“Ancient Old”) e nel 1979 infine Shir HaShirim Besha'Hashu'im (tradotto “Song Of Songs With Fun”).
Sono tanti piccoli episodi di musica tradizionale, tutti caratterizzati da testi che denunciano lamentela e malcontento per l'emarginazione e le ingiustizie cui è sottoposta la propria gente, con parole che spesso vengono anche rivedute e corrette in base alla situazione politica del momento.
Ofra si distingue subito per le sue doti canore fuori dal comune, che la pongono più di un gradino sopra gli altri figuranti, e riveste un ruolo di grande richiamo per la compagnia, così in contemporanea viene mandata a partecipare a tutti i concorsi di canto più importanti del paese, ottenendo già a quell'età riconoscimenti e testimonianze d'affetto un po' ovunque.

Dopo una pausa di circa due anni in cui presta servizio militare (in Israele è d'obbligo indistintamente per maschi e femmine) torna ai suoi palcoscenici più consoni ed è già pronta per il grande passo da solista: firma un contratto con l'etichetta Phonocall e nel 1980 esce il suo primo solo-album ufficiale, Al Ahavot Shelanu (“Our Love”) i cui brani principali “Hageshem”/“The Rain”, “Shir Ahava L'hayyal”/“Love Song For The Soldier” e “Kmo Tzipor”/“Like a bird” ottengono subito un gran numero di passaggi nelle radio locali. Tra questi spicca senz'altro quella che rimarrà a lungo uno dei suoi cavalli di battaglia, “Shir Af'Recha” ,ovvero “The Bimbo Song” (scritta per la colonna sonora del film “Schlager”, dove tra l'altro Ofra recita un ruolo da protagonista) che però inizialmente viene boicottata per i suoi contenuti scabrosi: “Bimbo”, infatti, ha una doppia valenza: in inglese sta per “ragazza attraente, dai facili costumi”, mentre in Germania, durante il ventesimo secolo, lo stesso termine è stato spesso usato, con connotazione razzista, per indicare una “persona di discendenza africana”. Tuttavia, in seguito il pezzo viene accettato e le regala una prima palpabile notorietà nel suo paese, soprattutto presso il pubblico più giovane, per via dei testi sbarazzini, che raccontano i tentativi di una giovane donna di scavalcare i limiti imposti da una società chiusa e conservatrice.

Ofra HazaSeguono a ruota Bo Nedaber' (“Let's Talk”), del 1981, che contiene i due singoli “Tfila”/“Prayer” e “Simanim Shel Ohavim”/”Lovers Signs” e ricalca le tematiche dell'album precedente, e Pituyim (o “Temptations”, con l'hit “Gabriel”) del 1982, alla cui stesura definitiva collaborano anche il compositore polacco Tzvika Pick e la scrittrice Nurit Hirsch, entrambi di origine ebraica e personalità molto note da queste parti. Infine, sempre nel 1982 esce Li-yeladim (“Songs For Children”, ovvero trenta piccoli insegnamenti per bambini con alcuni testi estratti anche dalla Bibbia).
Queste tre opere risultano ancora piuttosto immature, caratterizzate da pezzi brevi, melodici, intesi per tutta la famiglia. Gran parte dei testi sono scritti dal suo mentore Bezalel, che abbandona le provocazioni e le velleità di sommossa che avevano contrassegnato i lavori giovanilistici della vecchia compagnia teatrale. Haza ora cerca invece di affrontare temi che possano riguardare la gente comune, senza distinzione di età, sesso o religione.

Gli album di questa prima fase passo dopo passo avviano un lento percorso di crescita artistica, tra ritmi orientali, folklore del luogo e andature ballabili. Ottengono tutti quanti un disco d'oro in patria e Ofra viene nominata “Cantante dell' Anno” ininterrottamente dal 1980 al 1984. così la sua fama varca presto i confini d'Israele, regalandole apprezzamenti e consenso unanime in tutto il Medio Oriente. Un primo grande salto avviene nel 1983, quando partecipa all'Eurovision Song Contest, dove si classifica al secondo posto interpretando “Chai”/“Alive”. La gara, per la cronaca, viene vinta dalla concorrente lussemburghese, ma la performance di Ofra ha un significato simbolico di primaria importanza, sia perché quell'edizione si tiene nella stessa Monaco di Baviera che solo poco tempo prima aveva toccato con mano i tragici fatti delle Olimpiadi del '72, con il massacro di sportivi e giornalisti della delegazione israeliana (senza naturalmente dimenticare le vicende dell'Olocausto), sia perché la canzone, dietro un ritornello furbo e spensierato, nasconde il verso “Israel is alive”.

La sua orgogliosa interpretazione non passa inosservata, Ofra viene acclamata dalla sua gente che la elegge a eroina nazionale, così l'omonimo Lp Chai, che esce a fine anno, riscuote un seguito enorme e diventa disco di platino. L'album rimarrà uno dei suoi bestsellere propone altri brani di successo, come “Amen Lamilim”/“Amen For Words” e “Sof Akayitz”/“End Of Summer”, sempre nella scia di un riuscito mix tra melodie esotiche e un ricco riadattamento della tradizione yemenita. La musica ebraico-yemenita si può distinguere in tre categorie fondamentali:
- quella liturgica, eseguita nelle sinagoghe esclusivamente da uomini, in lingua ebraica o aramaica;
- quella secolare, cantata esclusivamente da donne in lingua ebraico-yemenita, con temi che affrontano la vita quotidiana;
- quella diwan, una raccolta di versi devozionali, tra sacro e profano, elaborati per essere cantati in lingua ebraica, aramaica o araba, i cui testi sono scritti ma le musiche e le danze sono tramandate solo per via orale, con letture metriche e ritmi piuttosto complessi e articolati. A sua volta un'esecuzione -diwan si suddivide in nashid (ritmo libero, mai accompagnato), shira (canto e danza, tipico dei grandi raduni) e hallel (canto di lode, per danzatori e coro).

Ogni comunità orientale ha una propria raccolta diwan, tra queste quella yemenita è senza dubbio una delle più ricche, e negli anni da lì a venire conoscerà una certa eco e rinomanza anche grazie all'infaticabile lavoro di divulgazione e alle superbe interpretazioni di Ofra Haza, abile tessitrice di un canto che attinge costantemente dalla tradizione, aggiornandola di continuo verso ritmi moderni e nuove sonorità, senza mai intaccarne la purezza primordiale o alterarne in alcun modo l'autenticità.

In questi anni la produzione del binomio Ofra Haza/Bezalel Aloni è particolarmente fertile e non conosce sosta, così nel 1983esce Shirey Moledet/Homeland Songs , che si snoda su riletture personali del folklore israelita: il disco è una grande scoperta soprattutto per le generazioni più giovani, che tramite “Homeland Songs” vengono a contatto con i canti antichi della propria terra di cui altrimenti non avrebbero conosciuto nemmeno l'esistenza. Ottiene un successo straordinario, tanto che nel 1985 e nel 1987 verranno aggiunti due volumi dallo stesso titolo.


Sulla stessa falsariga, nella primavera del 1984, Bayt Ham/A Place For Me partorisce i bei singoli “Yad Beyad”/“Hand In Hand” e “Hitcha Halayla”/“With You Tonight”, oltre alla title track il cui testo, scritto da Bezalel, è la storia di giovani ragazze ribelli che abbandonano le loro case in conflitto con la famiglia e racconta del sogno di Ofra, che con i primi soldi guadagnati avrebbe voluto costruire un posto dove ospitarle. La risposta di pubblico è convincente, a questo punto la curiosità e il clamore che la avvolgono naturalmente non passano inosservati ai produttori europei, che le propongono di lavorare a un album di maggior respiro internazionale, che possa proiettare la sua fama e il suo crescente appeal anche al di là del bacino del Medio Oriente, palcoscenico che inevitabilmente inizia a starle stretto.

Ofra HazaCosì nel novembre 1984 esce Yemenite Songs, che segna un punto di non ritorno per la sua carriera. L'album è una raccolta di canti dello Yemen: Ofra ritorna alle origini, interpretando una serie di versi scritti dal rabbino del sedicesimo secolo Rabbi Shalom Shabazi, con l'accompagnamento di strumenti antichi e moderni, percussioni in legno e metallo, timpani, flauti, corni, strumenti a corda ma anche drum machine e sintetizzatori. Sono canzoni d'amore, di lamento ma anche testi sacri, celebrativi di una tradizione antichissima, composti nell'arco dei secoli che vanno dal 1500 sino a epoche più recenti, con testi in ebraico su melodie yemenite.
Splendido esempio di world-music, Yemenite Songs contiene tra le altre le versioni originali di “I'm Nin Alu” e “Galbi”, che nelle successive ri-edizioni diverranno due super-hit e rimarranno i suoi pezzi più celebri. Malgrado il disco inizialmente fosse stato accolto in maniera piuttosto tiepida, il gruppo inglese dei Coldcut ascolta “Im Nin' Alu” e ne utilizza un sample nel remix che sta preparando per “Paid In Full/Seven Minutes Of Madness”, canzone del gruppo hip-hop Eric B. & Rakim.
“Questo diede una grande spinta alle mie canzoni - raccontava Ofra - E' buffo come la gente che non mi conosceva abbia ascoltato per la prima volta la mia voce su un pezzo rap”.
E' soprattutto il leggendario John Peel a iniziare una massiccia programmazione di questi brani nelle radio inglesi, così piano piano le vendite di Yemenite Songs crescono a dismisura e l'album verrà pubblicato infine anche negli Stati Uniti col titolo Fifty Gates Of Wisdom (in onore al testo di “Ayelet Chen”, inclusa nel disco). E' un successo inaspettato, quasi involontario, tanto che, intervistata dal New York Times, Ofra dichiara: “Io e Bezalel siamo sorpresi dal grande seguito che l'album sta riscuotendo nei dance-club europei, volevamo semplicemente un disco che potesse piacere ai nostri genitori, adattando i poemi della nostra tradizione a percussioni moderne e strumentazioni elettroniche”. La sua fama sta conoscendo il picco massimo, Ofra è la prima artista israeliana ad avere il volto stampato praticamente ovunque, da lettere,cartoline e francobolli fino ai diari per adolescenti, magliette, adesivi, poster ecc., come all'epoca si conviene solo per le star occidentali.

Anche Adama/Earth del 1985 ottiene grandi favori di pubblico: pensato e scritto con la preziosa collaborazione di importanti scrittori/compositori del paese (Sasha Argov , Ehud Manor e Naomi Shemer su tutti), l'album produce brani che acquisiscono notevole popolarità, come l'omonima “Adama”, “Mishehu Holech Tamid Iti”/“Somebody Always Walk With Me” e la splendida “Goral Echad/One Destiny”. Il disco viene apprezzato particolarmente in Argentina, dove in quei giorni Ofra sta tenendo una serie di performance che raccolgano fondi per costruire e ristrutturare diverse scuole di Buenos Aires. Così le sue produzioni adesso investono anche il mercato sud-americano e poi quello giapponese.

In occasione della Pasqua ebraica dello stesso anno, viene lanciata la raccolta Halbom Hazahav/The Golden Album, doppio Lp che raccoglie 24 delle sue canzoni più famose, alcune proposte anche in lingua francese.

Il successivo Yamim Nishbarim/Broken Days del 1986 invece è un album maggiormente introspettivo, profondo, personale: è la stessa Ofra a scriverne i testi. Affidato al noto produttore Izhar Ashdot, il disco partorisce un suono più moderno, evoluto verso il rock, ne scaturiscono pezzi importanti come “Hake'ev Haze”/“This Pain”, “Bo-Venagen Oti”/“Come And Play With Me” e “Kol Haklafim”/“Open Your Cards”.
Ofra adesso è sempre in giro per il mondo tra tournée, registrazioni ed eventi benefici, ormai è una star amata ovunque, l'indiscutibile talento musicale, la classe e un certo fascino tinto di mistero la rendono una delle presenze più ambite e ricercate.
Il suo paese per lei si ferma già una prima volta il 3 febbraio 1987, quando improvvisamente accade l'imponderabile: di ritorno da una felice esibizione per i militari della base di Nevatim nel sud dell'Israele, il Cessna su cui viaggia, dopo aver urtato una montagna al confine tra Israele e Giordania, inizia e perdere quota e precipita nel deserto. Seguono ore di ricerche frenetiche e disperate, e dopo giorni vissuti tra profonda angoscia e commozione da parte della gente, dei mass-media e del mondo musicale e non solo, Ofra viene ritrovata viva.
Il suo manager Aloni, anch'egli sopravvissuto al disastro, racconta che durante quei momenti Ofra cercava di incoraggiarlo , dicendo: “Qualunque cosa accadrà, sarà stata fatta la volontà di Dio”. Quel 3 febbraio sarà definito da Ofra “My Second Birthday”, e ogni anno in quella data, continuerà a incontrare il pilota dell'aereo per festeggiare lo scampato pericolo. Come porta-fortuna, lui le donerà una delle eliche spezzate dell'aereo, che Ofra custodirà gelosamente in casa. Da quel momento, per la sua gente Ofra Haza acquista un'aura quasi mistica, non fossero già bastati l'enorme ammirazione per la cantante e l'affetto smisurato per la persona.

Lo sguardo a Ovest e “Im Nin' Alu”: le porte del successo si schiudono

Ofra HazaE' a questo punto che avviene il salto definitivo: Ofra Haza si trasferisce per un periodo a Los Angeles, dove firma con la Sire e si mette al lavoro con alcuni produttori americani per il nuovo disco, Shaday. Il titolo, scelto da lei stessa, in ebraico significa letteralmente “Custode delle porte di Israele”, ovvero uno dei nomi con cui viene indicato Dio sulle pergamene. Pubblicato nel 1988, l'album riesce ad amalgamare perfettamente le sonorità tipiche del Medio-Oriente e i ritmi disco più in voga in quegli anni, con un sound elettronico ben definito, che rimette a nuovo alcune sue vecchie produzioni quasi dimenticate e le trasforma in veri e propri gioielli della musica pop anni Ottanta. Tra questi, senz'altro “Im Nin' Alu (English mix)”, eccellente punto d'incontro tra misticismo orientale, calda sensualità e groove sintetici dance-oriented: è una miscela che si rivela esplosiva, senza scadere in volgarità sacrileghe o rischi di blasfemia. Vende milioni di copie e balza in vetta alla Top Ten un po' ovunque, soprattutto in Europa e in particolare in Germania e nei paesi scandinavi, dove da sempre è massiccia la presenza di comunità di immigrati dal Medio Oriente. Già contenuto in versione originale nell'album Yemenite Songs, il pezzo in realtà risale al 1978 ed era stato già presentato insieme alla sua vecchia compagnia teatrale in una performance alla Iba General Television, seppur mai registrato ufficialmente prima del 1984. Il testo riprende una poesia che porta lo stesso titolo, attribuita al rabbino del diciassettesimo secolo Shalom Shabazidel:
Im nin'alu daltei n'divim (Even if the gates of the rich are closed)
daltei marom lo nin'alu (The gates of Heaven will never be closed)

E' un boom clamoroso e probabilmente irripetibile, sarà riproposto nel tempo in varie altre edizioni e re-mixato in tutte le salse, resta celebre soprattutto un campionamento utilizzato in “Pump Up The Volume”, hit-colossale del 1987 firmata M/A/R/R/S. Nel 2005 parte della canzone viene inserita in “Isaac”, un brano di Madonna contenuto nell'album “Confessions On A Dancefloor”. Il video è gettonatissimo su Mtv, dove Ofra è la prima artista israeliana ad apparire.
Ma l'album Shaday contiene anche molto altro: anzitutto la sinuosa “Galbi”, la cui original-version compariva anch'essa in Yemenite Songs, e qui viene trattata e rilanciata con le stesse identiche peculiarità lirico/stilistico/strutturali di “I'm Nin' Alu” (in Italia ottiene un successo se possibile ancora maggiore), la splendida a cappella “Love Song”, con testo tratto dal Cantico dei Cantici dell'Antico Testamento (noto anche come “Song Of Songs 8:6-7” o “Song Of Solomon”), riadattamento di un vecchio brano cantato in ebraico da Ofra e inizialmente contenuto nel suo Shir HaShirim/Love Songs del 1979, e le prime canzoni completamente in inglese, ovvero “My Aching Heart” e 'Take Me To Paradise”.

Il successo le arride e alcune sue canzoni si permettono di scalzare dalla vetta delle classifiche addirittura i nuovi brani del re del pop Michael Jackson, che in quell'anno sta promuovendo “Bad”. Così lo stesso Jacko, dopo averla voluta incontrare e conoscere personalmente, le chiede di unirsi a lui in alcune tappe del suo tour mondiale, ma Ofra rifiuta: “Michael è un gentiluomo, incredibilmente delicato e dall'animo sensibile, ma abbiamo un tipo di pubblico e un approccio alla musica troppo differenti, non credo possano combinarsi tra loro”. Sarà sostituita da Kim Wilde, ma i due avranno comunque modo più avanti di duettare insieme, in una fortunata tappa del tour che Ofra sostiene in Giappone nel 1990, dopo aver ritirato il primo premio all'International Festival di Tokio.

Ofra HazaL'eco di Im Nin' Alu non si spegne e il 1989 è la volta di Desert Wind, che riprende il discorso iniziato con il precedente Shaday: synth piuttosto accentuati e ritmi mainstream che strizzano l'occhio ai dancefloor, come l'irresistibile e sensuale “Ya Ba Ye”, dal beat travolgente e trombette gitane tanto care a Goran Bregovic (i due più tardi incideranno insieme “Elo-Hi/Canto Nero” - sull'album “Ederlezi” del compositore bosniaco - oltre a collaborare alle soundtrack di “Arizona Dream” e “La Regina Margot”), l'altro singolo “Mata Hari”, il pezzo più all'orientale “Middle East”, “In Ta” (che ammicca persino all'house-music) e “I Want To Fly”. “Fatamorgana” è invece un omaggio alla dura esperienza vissuta anni prima dai genitori nello Yemen, e contiene un canto in arabo che la madre le insegnava a cantare via telefono durante i giorni di registrazione. E' un brano triste, malinconico, “il ritmo rievoca la marcia della sua gente in esilio nel deserto, il caldo insostenibile, i miraggi”, così lo descrisse all'epoca un giornalista del Wall Street Journal.
Il brano di chiusura, “Kaddish”, invece è il riadattamento di un'antica preghiera ebraica che descrive un angelo portar via tutti i mali del mondo, caricandone il peso sulle proprie ali. “Kaddish” è in lingua aramaica, mentre il resto dell'album è cantato esclusivamente in inglese.

I testi di Ofra Haza sono intimi, personali, diretta proiezione di mercati orientali, lande deserte e paesaggi sconosciuti, evocativi di quelle terre cui appartiene indissolubilmente e a cui continua a rivolgersi con trasporto e intensità, soprattutto in questo periodo vissuto altrove, da impeccabile ed elegante ambasciatrice della cultura israeliana nel mondo. Il legame con la famiglia e la sua terra d'origine è un tema sempre ricorrente, un filo impossibile da spezzare. Un prezioso tesoro da custodire: Ofra non perderà mai occasione per sottolinearlo, come quando - intervistata dalla radio KCRW-FM di Santa Monica – terrà a ricordare i suoi genitori, la passione per i canti tradizionali dello Yemen trasmessa dalla madre e un'infanzia segnata dall'amore per la musica, dalla povertà e dallo stato di abbandono in cui versava il quartiere di Hatikva: da lì il sogno di poter aiutare la sua gente a svegliarsi e a rivoltarsi contro l'indifferenza dei governi.

Gli anni Novanta, i riconoscimenti internazionali e un messaggio di pace

Ofra Haza con Andrew Eldritch - Sisters Of MercyNel 1991 arriva in Italia e partecipa al Festival di Sanremo, dove presenta “Today I'll Pray”, versione inglese di “Oggi un Dio non ho” di Raf. L'anno successivo canta “That's Why People Fall In Love”, contenuta nell'album “Astronauts And Heretics” di Thomas Dolby (che per lei aveva co-prodotto Yemenite Songs e Desert Wind) e poi firma una nuova edizione di “Temple Of Love” con i Sisters Of Mercy, significativamente sottotitolata, non a caso, “Touched By The Hand Of Ofra Haza”: è il momento in cui qualunque cosa tocchi Ofra diventa oro: Kyria, infatti, esce nel 1992 e raccoglie ancora una volta grandi favori di pubblico e critica.
L'album è frutto di una riuscita collaborazione col genietto Don Was, ormai dedito più all'attività di produttore che non ai personali lavori firmati Was (Not Was), ed è delineato sulle sonorità spiccatamente pop a lui care, ma con un certo ritorno a una strumentazione più classica, che diminuisca gradualmente l'uso dei sintetizzatori e i dirompenti ritmi da dancefloor. Il disco tra l'altro riceve una nomination ai Grammy Awards nella categoria World Music ed è impreziosito dalla partecipazione di Iggy Pop (suo il monologo introduttivo di “Daw Da Hiya”, che racconta di una ragazza yemenita condannata a morte per aver “assaggiato i frutti proibiti dell'amore”). Ofra ricambierà partecipando insieme a Iggy e altre guest-star al singolo no-profit “Give Peace A Chance”, brano di John Lennon rilanciato in risposta alla Guerra del Golfo. Per l'occasione Yoko Ono radunerà una fitta schiera di artisti, tra cui Adam Ant, Peter Gabriel, Little Richard, Cyndi Lauper, Duff McKagan, Wendy & Lisa e i figli d'arte Dweezil, Moon Unit e Ahmet Zappa. Da qui in poi, Ofra Haza si farà più volte promotrice di un intento pacifista, auspicando anche tramite i suoi testi un punto di contatto tra le popolazioni in conflitto nei paesi arabi. Kyria, infatti, è l'antico nome in ebraico della città di Gerusalemme, “molti dei nostri figli stanno morendo per causa tua”, recita la title track.

Sono anni tesi nei rapporti internazionali a causa della crisi Palestina-Israele, ma almeno su un punto i giovani di entrambe le etnie convergono, nell'individuare in Ofra Haza un modello positivo, anche per via delle sue canzoni, che cercano di continuo di lanciare un messaggio distensivo, oltre a eleggerla simbolo dell'unità d'Israele per il suo essere ebrea di origine araba. “La mia musica vuol dire proprio questo: siamo stanchi di combattere”. Così, quando nel 1993 viene siglato un accordo di tregua tra i due paesi, i firmatari Ytzhak Rabin, il ministro degli esteri Simon Peres e il leader palestinese Yasser Arafat ricevono a Oslo il Premio Nobel per la Pace, e per la cerimonia di consegna viene invitata ad esibirsi proprio Ofra, che interpreta “Paint Box” in un suggestivo duetto con Sinéad O'Connor.

Nello stesso anno esce Oriental Nights , raccolta di alcuni dei suoi brani più famosi, e nel 1994 Kol Haneshama, con la canzone “Le'orech Hayam” (“Along The Sea”), che inizialmente non riscuote un grande successo ma in seguito in patria diventerà un vero e proprio inno dopo esser stata eseguita nel 1995 in occasione della cerimonia funebre per il Primo Ministro Ytzhak Rabin, assassinato una settimana prima.

Star Gala (Queen In Exhile) del 1995 vede la collaborazione degli ex-Talking Heads Chris Franz e Tina Weymouth, al lavoro col nome di Tom Tom Club. E' un Lp che per ragioni sconosciute Ofra non avrebbe voluto realizzare, anche se contiene significativi passi della Bibbia in “Genesis” e “Jerusalem”, oltre alla bella “In This Burning Town”, dal lieve sapore flamenco.
L'album tutto sommato rimane un episodio trascurabile, ma il titolo sull'esilio è emblematico e lascia trasparire il desiderio di fermarsi e tornare a casa, tanto che Ofra si stabilisce di nuovo e definitivamente in Israele.

Ofra HazaL'omonimo Ofra Haza del 1997 segna la sua ultima uscita ufficiale in studio, anche se fino al 1999 continuerà a registrare, prestando la sua voce principalmente per colonne sonore o collaborazioni con altri artisti. Contiene il singolo “Show Me”, l'ennesima new-version di “Im Nin' Alu” e la cover di “You've Got A Friend” di Carole King. Registrato tra Amburgo e i leggendari Abbey Road Studios di Londra, l'album viene prodotto dal co-fondatore degli Enigma Frank Peterson, che tra l'altro inserisce un campionamento vocale di Ofra in “Mysterious Ways” di Sarah Brightman, altra autrice con cui sta lavorando in quei giorni all'album “Harem”.

Nel 1998, infine, esce Ofra Haza at Montreaux Jazz Festival, che riprende una sua vecchia esibizione live del luglio 1990 al prestigioso festival, dove, accompagnata da una piccola orchestra, aveva cantato i brani più celebri estratti dai fortunati Yemenite Songs, Shaday e Desert Wind.

Nel corso degli anni, inoltre, si susseguono innumerevoli collaborazioni in duetto con altri artisti (ad esempio “My Love Is For Real” con Paula Abdul del 1995), performance live con alcune punte di diamante del panorama mondiale (celebri soprattutto le esibizioni insieme a Michael Jackson e Whitney Houston), oltre al fitto inserimento dei suoi brani nelle colonne sonore di cult-movie di stampo hollywoodiano, “Dick Tracy” e “Orchidea Selvaggia” su tutti, ma la sua produzione più importante per il cinema resta sicuramente quella del 1998 per “Il principe d'Egitto” della DreamWorks: Hans Zimmer, con cui lavora ai brani inediti per il film, la presenta ai produttori, che la trovano talmente bella da disegnare il personaggio di Yocheved, madre di Mosè, ricalcando i suoi lineamenti. Ofra, oltre a prestare naturalmente la voce allo stesso personaggio, canta il brano “Deliver Us” in ben 19 lingue differenti, usando per molte di esse la tecnica del canto fonetico, ovvero quel modo di imparare prima a memoria i testi e poi riprodurli imitando semplicemente i suoni delle parole, ma senza mai pronunciarle fedelmente.

Sempre nel 1998 lavora insieme alla techno-troupe Black Dog al progetto Babylon, dedicato alla pace in Medio Oriente: è lei stessa a scrivere i pezzi, che ottengono un certo successo nelle chart inglesi. Nel 1999 prima compone cinque brani per la colonna sonora dell'edizione animata di “The King and I”, famoso musical di Rogers e Hammerstein, poi compare nel disco di Jonathan Elias “The Prayer Circle/Music For The Century”: è una compilation multilingue di canti sacri cui si prestano, tra gli altri, anche Alanis Morissette e Perry Farrell dei Jane's Addiction. Infine, alcune riuscite cover, tra cui “Kashmir” dei Led Zeppelin, “Separate Ways” di Gary Moore e quella di “Open Your Heart” di Madonna, che le vale anche l'appellativo di “Madonna d'Oriente”, paragone affatto irriverente: Ofra Haza sta ad Oriente come Madonna ad Occidente, l'idolatria nei suoi confronti è illimitata, tiene testa a Miss Ciccone e sovrasta di gran lunga tutta una serie di popstar all'occidentale che invadono le radio israeliane. Ofra, infatti, è artista di tendenza, presente ovunque, ma se conosciamo praticamente tutto della sua sterminata produzione musicale, lo stesso non possiamo dire della sua vita privata, a lungo tenuta lontana dalla luce dei riflettori e al riparo dalla curiosità della stampa popolare sino al 1997, quando Ofra si reca in ospedale in visita al figlio di un'amica e lì conosce il futuro marito Doron Ashkenazi.

Il matrimonio, una fine amara e un silenzio assordante

Ofra HazaDoron le viene presentato come un uomo d'affari con una fiorente attività di costruzioni anche in Israele. E' un trentottenne divorziato, ma con una figlia di prime nozze e un altro figlio adottivo. Già dal giorno successivo al loro primo incontro, Doron inizia un corteggiamento serrato, così anche le sorelle di Ofra spingono verso una loro unione: malgrado sia una star a livello planetario, infatti, non la vedono appagata, ormai ha quasi quarant'anni ed è ancora single, l'orologio biologico gira impietoso e il desiderio di metter su famiglia prende il sopravvento su una carriera che ormai ha già detto tutto ciò che c'era da dire. Così, a meno di un anno dal loro primo incontro, i due si sposano e il matrimonio viene celebrato il 15 luglio. Le nozze, tuttavia, sono mal viste da più parti, in primis dallo storico manager Bezalel Aloni (e non avrà tutti i torti): Doron si rivelerà presto un uomo possessivo, irrispettoso e oberato dai debiti, che sembra volersi approfittare delle ricchezze e della celebrità di Ofra per chiudere i conti con un losco passato che non tarda a tornare a galla, fatto di amicizie sospette (alcuni suoi soci sembrano avere interessi legati ad attività controllate dalla mafia italiana) e alcune segnalazioni alla polizia locale per aver più volte infastidito e minacciato l'ex-moglie Etti Perry.
Insomma, i cattivi presagi ci sono tutti, Aloni non ci sta e interrompe qui il suo connubio artistico con Ofra, che ricomincia a lavorare, per un breve periodo, insieme alla violinista finlandese Linda Brava (il brano “Tarab” si può ascoltare sulla sua pagina Myspace) e poi insieme al nuovo produttore Ron Aviv, con cui inizia le registrazioni per un nuovo album di inediti, che però non vedrà mai la luce.

Come un fulmine a ciel sereno, infatti, nel febbraio 2000, Ofra viene ricoverata in ospedale in condizioni disperate, e dopo tredici giorni di coma si spegne nello Shiba Medical Center di Tel Hashomer. Inizialmente si conosce poco dell'esatta diagnosi medica, i primi bollettini medici parlano di una grave forma d'influenza, Ofra aveva perso peso in maniera impressionante. Ma nei giorni a seguire dilaga la notizia che il decesso è dovuto all'acuirsi di una pneumonia direttamente legata all'Aids. Il colpo è forte, c'è grande sgomento e incredulità ovunque, nel mondo musicale, politico e soprattutto tra il personale medico, secondo il quale intervenendo tempestivamente si sarebbe potuto salvarla. Ma Ofra per la vergogna aveva tenuto a lungo nascosta la vera natura della sua malattia, l'Aids, infatti, in Israele è da sempre argomento-tabù e un marchio infamante, per la sua natura di virus trasmesso principalmente per uso di droghe o via sessuale. Fu uno dei maggiori quotidiani del paese, l'Ha'aretz, a lanciare lo scoop, suscitando grandi controversie per l'incursione dei media nella vita privata della star e scatenando polemiche a non finire sul diritto alla privacy dei pazienti e sul sensazionalismo con cui si iniziò a speculare sul modo in cui potesse esser stata contagiata, gettando fango, a detta di molti, su quella che era stata una condotta di vita immacolata. Il quotidiano si difese sostenendo che Ofra era un personaggio pubblico e dunque il capitolo della sua morte non poteva esser lasciato passare sotto silenzio. “L'Aids – spiega Yoel Esteron, direttore del giornale - è una malattia come un'altra e non vi è alcuna ragione di demonizzarla, anzi un personaggio di tale portata avrebbe avuto l'obbligo di esporsi pubblicamente, così da poter educare e sensibilizzare la gente, come stanno facendo tante celebrità dell'arte, della musica e dello sport, ad esempio il campione di basket Magic Johnson”. Ma chissà se i rabbini integralisti che hanno pregato per la vita di Ofra Haza con rituali cabalistici a fianco al suo letto d'ospedale lo avrebbero fatto ugualmente conoscendo la verità.
La famiglia accusa subito il marito Doron, reo di averle tenuto nascosta la propria sieropositività, lui cerca di ribattere sostenendo che Ofra era stata infettata in un ospedale turco, dopo una trasfusione di sangue a seguito di un aborto spontaneo. Ma Doron Ashkenazi è un tossico-dipendente, morirà per overdose di cocaina nell'aprile 2001.

Ofra HazaAl funerale di Ofra Haza intervengono decine di migliaia tra ammiratori e personalità politiche, molti dei suoi fan, in lacrime, scavalcano le recinzioni e raggiungono l'entrata dell'auditorium per porgerle un ultimo arrivederci. Durante la cerimonia il primo ministro Barak vuole ricordare come “Ofra abbia saputo emergere dai bassifondi di Hatikva sino a raggiungere le vette del mondo, portando in alto la cultura israeliana, rendendo onore al suo paese e lasciando un marchio indelebile in tutti noi”. Ancor più commovente e significativo è l'omaggio che le pongono le nipoti Aya e Dorin, che di fianco alla bara recitano: “Nostra amata Ofra, improvvisamente hai lasciato un grande vuoto in noi, i tuoi genitori, la tua famiglia e tanti fan orfani di te. Stavolta le cure mediche e i libri dei salmi non sono serviti a nulla, e scivoli via tra le nostre dita. Per noi sei rimasta l'umile figlia e sorella di sempre, il talento non ti ha fatto perdere la testa nemmeno quando ti hanno chiamata 'Regina'. Sei stata brutalmente strappata via nel fiore degli anni, e oggi finalmente raggiungi il coro degli angeli che ti stanno aspettando alle porte del Paradiso. Addio nostra principessa”.
Ofra Haza è seppellita nella sezione artisti del cimitero Yarkon di Petah Tikva, fuori Tel Aviv. La sua città, invece, le dedicherà il parco-giochi Gan Ofra (Ofra's Park) a voler simboleggiare il suo amore per i bambini e per le strade dov'era cresciuta e continuava a tornare. Il parco si trova infatti proprio nel quartiere Hatikvah alla fine di Bo'az street, dove al numero 39 si può visitare ancora oggi la sua casa d'infanzia.
Tempo dopo, lo storico manager Bezalel Aloni, che per scelta non aveva presenziato ai funerali, deciderà di chiarire la sua posizione sulla vicenda, così nel 2007 darà alle stampe il libro “Michtavim L'Ofra” (“Letters To Ofra”): scritto in forma epistolare, è in parte biografia personale, in parte biografia di Ofra. Un interessante estratto, “The life and death of Ofra Haza” viene pubblicato proprio sul quotidiano Haaretz, che alcuni anni dopo esser stato il primo giornale ad aver rivelato le effettive cause del decesso, cerca una volta per tutte di far luce su alcuni punti oscuri di questa fine amara, inasprita dal fatto che ancora oggi, familiari e fan, nel rimpianto della sua perdita, sono concordi nell'usare insistentemente il termine “uccisione”.

Musicalmente parlando, Israele prova a risollevarsi dal tremendo shock affidando le propria voce soprattutto alla graziosa Noa e a una serie di interpreti minori, ma certo è che per il paese Ofra ha lasciato un vuoto difficile da colmare, un'eredità artistica impossibile da raccogliere.

Ofra Haza

Discografia

OFRA HAZA & HECHUNAT HATIKVAH WORKSHOP THEATRE

Ahava Rishona (First Love) (1974)

Vehutz Mizeh Hakol Beseder (Aside From That All Is Ok) (1976)

Atik Noshan (Ancient Old) (1977)

Shir HaShirim Besha'ashu'im (Song of songs with fun) (1978)

Al Ahavot Shelanu (About Our Loves) (1980)

OFRA HAZA
Bo Nedaber (Let's Talk) (1981)

Pituyim (Temptations) (1982)

Li-yeladim (Songs For Children) (1982)
Hai (Alive) (1983)

Greatest Hits (antologia, 1983)

Shirei Moledet A (a.k.a. Shirei Moledet 1) (Homeland Songs A) (1983)

Bayt Ham (A Place for Me) (1984)

6

Yemenite Songs (Shirei Teyman or Fifty Gates of Wisdom) (1984)

7,5

Adamah (Earth) (1985)

6

Shirei Moledet B (aka Shirei Moledet 2) (Homeland Songs B) (1985)6,5
Yamim Nishbarim (Broken Days) (1986)6
Album HaZahav (Golden Album) (1987)

Shirei Moledet C (a.k.a. Shirei Moledet 3) (Homeland Songs C) (1987)

Shaday (1988)

8

Desert Wind(1989)

7

Kyria (1992)

6,5

Oriental Nights (1993)

6,5

Kol Haneshama (My Soul) (1994)
Star Gala (Queen In Exile) (1995)

5

Ofra Haza (1997)

6

Ofra Haza at Montreaux Jazz Festival (live, 1998)
Manginat Halev vol. 1 (Melody Of The Heart vol. 1) (antologia, 2000)

Manginat Halev vol. 2 (Melody Of The Heart vol. 2) (antologia, 2004)

The Remixes(antologia, 2007)

Forever Ofra Haza – Her Greatest Songs Remixed (antologia, 2008)

Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

The Bimbo Song
(dal film Schlager, 1980)

Chai
(da Chai, 1983)

Ayelet Chen
(da Yemenite Songs, 1984)

 

Im Nin' Alu
(da Shaday, 1988)

Galbi
(da Shaday, 1988)

Ya Ba Ye
(da Desert Wind, 1989)

Daw Da Hyia
(da Kyria, 1992)

FataMorgana
(da Kyria, 1992)

Temple Of Love
(con i Sisters Of Mercy, 1992)

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