Se in passato aveva preferito raccontare storie prettamente “intimiste”, questa volta Natalie Merchant getta soprattutto uno sguardo politico e sociale sull’America d'oggi. “The House is On Fire”, la "casa che va a fuoco", ad esempio, è una metafora degli Stati Uniti. Il brano è stato scritto durante le proteste anti-globalizzazione a Seattle e lo scandalo dei voti durante il ballottaggio elettorale in Florida. Ma il testo, letto alla luce degli ultimi eventi, diventa anche la testimonianza della rabbia di una popolazione ferita, che - come racconta la cantautrice di Jamestown - “vuole fuggire dalla realtà, e non si rende conto che l’11 settembre anche l’America ha avuto il suo Armageddon, il giorno del giudizio”. “The House is On Fire” si rivela anche uno dei pezzi migliori dell'intero album, grazie a un arrangiamento ammaliante di archi e fiati in stile arabo, alle chitarre elettriche distorte e a un ritmo reggae, con i vocalizzi di Natalie che a tratti sembrano quasi evocare la magia di Natacha Atlas.
Nonostante la durezza dei temi trattati, si respira un’aria di serenità. La serenità di chi osserva i drammi con la sincerità e la fermezza indispensabili per andare avanti. La musica di "Motherland" riflette questo sguardo lucido e riflessivo, ma si scompone in una serie di direzioni musicali, mantenendo sempre in primo piano i suoni "root", non solo con le fisarmoniche e le pedal steel country, ma anche attraverso le diverse contaminazioni "etniche". Come nell’accenno di tango di "The Worst Thing". Non mancano poi gli episodi che riportano alla mente i momenti più gradevoli del pop-rock firmato 10.000 Maniacs ("Tell yourself", “Just can’t last”), ma anche incursioni nella musica nera, come “Build a levee”. Un impasto sonoro che alla fine risulta omogeneo e riuscito. E la Merchant narratrice profonda di storie personali torna a emozionare con la meditazione sofferta di “Not in this life” e l’esausta invocazione finale di "I'm Not Gonna Beg" ("Non ti supplicherò per nessuna cosa/ Non ti supplicherò per il tuo amore"), una ballata austera che ricorda la miglior Joni Joni Mitchell.
“Motherland”, insomma, è un disco che lascia il segno. Una prova matura per una delle cantautrici più raffinate ed eclettiche del panorama attuale.
(24/10/2006)