Le tracce che costituiscono l’ossatura di "Fear Yourself" sono gemme grezze, avvalorate dalla pura fragilità della voce di Johnston, sgraziata e stonata, ma altamente espressiva e commovente.
Un’ingenua filastrocca acustica inaugura l’incantevole viaggio verso paesaggi immaginari tratteggiati dalla disinvolta follia del cantautore di Sacramento, che sfoga le proprie paranoie in un tripudio di allegria e disperazione.
I brani, della durata media di quattro minuti, ammiccano tanto al caramelloso pop lisergico dei Flaming Lips quanto alle incursioni a bassa fedeltà di Beat Happening e Half Japanese, svelando Johnston come uno dei compositori più ispirati degli ultimi vent’anni.
I rintocchi di piano di "Syrup Of Tears", le delicate ombreggiature di theremin presenti in "Must" e i sommessi fraseggi di corno francese che costituiscono il sostrato di "You Hurt Me" scandiscono timide note, intrise di sofferta passione e decadente malinconia; ciascun elemento concorre a contrappuntare l’ironia che pervade ogni singola nota di un lavoro privo di autocommiserazione e sentimentalismo fine a sé, caratteristiche purtroppo presenti nelle opere di diversi cantautori moderni.
L’encomiabile produzione di Mark Linkous, alias Sparklehorse, rende provvidenzialmente coeso e godibile un album fin troppo ricco di spunti. Artwork e booklet, curati dallo stesso Johnston, esprimono con coerenza le differenti sfumature di una musica mostruosa e al contempo naif.
(28/10/2006)