Seduce invece la triade di apertura "2+2="5"", "Sit Down, Stand Up", e la liquida e rarefatta "Sail To The Moon": scatti nevrastenici, sfoghi frustrati e negati, amarezza tagliente nei testi, e un'infinita malinconia annegata nell'equilibrata grazia degli arpeggi delle chitarre e della voce di Yorke, sempre più leader della band. Una capacità di alternare tensioni differenti che si rivelerà preziosa: spiccano infatti i climax emotivi del singolo "There There", di "A Wolf At The Door", che con il suo malinconico carillon sembra uscita direttamente da "Ok Computer", o i dolorosi gospel di "We Suck Young Blood" e "I Will", e ancora quando si permettono anche il gioco di realizzare una copia degli U2 anni 90 migliore dell'originale, con il rock dal sapore futurista di "Where I End And You Begin".
Come interpretare questo "Hail To The Thief"? Sicuramente molti grideranno al tradimento, o denunceranno la truffa dei Radiohead, finti innovatori, artefatti mistificatori. Probabilmente questo è da mettere in conto: i Radiohead sono stati degni rappresentanti della musica di questi anni, sfuggenti, ambigui, artificiosi calcolatori, ma anche disperata espressione di malumori e nevrosi reali. E altrettanto probabilmente è giunto il momento di passare il testimone, di varcare quella soglia che porta gli artisti dalla nervosa e produttiva ansia di sentirsi a cavallo dell'onda del proprio tempo, alla piena consapevolezza dei propri desideri e del proprio passato. I Radiohead realizzano questo con un album sincero, che ci fa perdonare anche qualche caduta di ispirazione, e ci permette di godere appieno dei lampi di talento espressivo di cui sono ancora capaci.
(29/10/2006)