British Sea Power

Open Season

2005 (Rough Trade)
pop

Guardi il video di "It Ended On An Oily Stage" e la prima cosa che ti viene in mente sono i clip dei Talk Talk periodo "It's My Life", con quelle immagini sincopate e surreali di animali che si alternano a quelle svagate del cantante. Ai tempi il figuro in questione di nome faceva Mark Hollis, il suo giovane epigono si chiama più semplicemente Yan. Altro parallelo: i British Sea Power, esattamente come quei Talk Talk, piacciono moderatamente ai più, ma si trovano ben poche persone disposte a sbilanciarsi entusiasticamente; i cinque giovanotti di Brighton, infatti, le canzoni le sanno scrivere, il problema è che per motivi che sfuggono all'umana comprensione, esse finiscono col collocarsi nella dannata terra di nessuno che divide idealmente l'indie-pop colto da quello facile e da classifica.

Non se ne esce ragazzi: o v'inventate il vostro "Spirit of Eden", sbaragliando così la critica dotta che finirà col rivalutare anche questo "Open Season", oppure siete irrimediabilmente destinati a essere ascoltati in low profile, soprattutto da coloro che scriveranno di voi fra mille distinguo, guardandovi persino con sospetto. Sperando nel frattempo di fare il botto in classifica, s'intende. Per sapere qualcosa in più sul loro conto, val bene la recensione stilata da Onda Rock in occasione dell'uscita di "The Decline Of British Sea Power", debut-album dal sound robusto, zeppo di ottime idee, assemblate però in modo dispersivo da chi, nell'urgenza di esprimersi, finisce col mettere il tutto un po' fuori fuoco.

Col nuovo lavoro l'impiccio pare essere superato: alla scrittura efficace va a sposarsi la coerenza di undici canzoni certamente più morbide e dagli arrangiamenti assai più ricercati, che non per questo rinunciano a flirtare con la tradizione del guitar pop targato Uk. Una tenera ingenuità che rimanda al David Bowie giovane (e, perché no, in parte anche a quello post-epopea berlinese) e le radici ben piantate nella new wave storica fanno di "Open Season" un disco leggero, scritto e pensato per luoghi ventosi ma tiepidi, luminosi e primaverili, paesaggi insomma destinati a far capolino in più di un cuore in amore. Nulla di zuccheroso, intendiamoci, e quasi nessuna traccia di britpop fra questi undici cristalli iridescenti che brillano sì di luce riflessa, senza tuttavia rinunciare alla prerogativa di una forma propria che assume i contorni ora d'aure nostalgiche, ora di sorrisi rassicuranti. Rassicuranti non meno delle note emanate dalla già citata "It Ended On An Oily Stage", che ha tutte le carte in regola per candidarsi a singolone stagionale, col suo agile incedere fra un riff di chitarra di quelli che restano e una voce in mezzo sussurrata che fa un po' il verso a Richard Butler, indimenticato frontman dei Psychedelic Furs, la cui seconda parte di carriera, quella che ha dato alla luce "Forever Now" e "Mirror Moves" (la più invisa ai duri e puri, manco a dirlo), sembra essere il leit motiv dei nostri.

Con un simile incipit, non può certo sorprendere se la successiva "Be Gone" si posiziona a metà strada fra "Love My Way" e "Heaven", i due singoli dei Furs che assieme a "Pretty In Pink" hanno ricevuto i maggiori riscontri di pubblico: voce in primo piano e ritornello piazzato subito a inizio canzone, con la sfacciata sicumera che in tempi recenti si riscontra nei soli Interpol, il cui retrogusto si palesa anche in "Oh Larsen B". Ascoltando "How Will I Ever Find My Way Home?" è pressoché impossibile non rincorrere idealmente i giochetti punk-pop di Pete Shelley e dei suoi Buzzcocks: provate a scovare il brano "I Believe" ("A Different Kind Of Tension", 1979) e poi diteci se ad avere la meglio sarà un sorriso divertito, oppure un sano moto di umana indignazione (noi propendiamo per la prima possibilità, semmai).

Se "Please Stand Up" vuole essere il tributo a certa malinconica epicità propria di band come i Chameleons, "North Hanging Rock" è una progressione melodica il cui pathos latita negli U2 almeno dai tempi di "Joshua Tree": diciamolo, Bono pagherebbe per scrivere questa canzone nel 2005. Stesso discorso vale per "To Get To Sleep", anche se qui la vittima predestinata è Ian McCulloch dei Bunnymen, mentre un po' più severo potrebbe essere il giudizio nei confronti di "Victorian Ice", brano sin troppo smaccatamente più smithsiano degli stessi Smiths. L'omaggio al pop senza tempo lo regalano le due tracce che chiudono l'album, "The Land Beyond" e "True Adventures", nelle quali sono riposte le chitarre in favore di movimenti più orchestrali, come ennesima dimostrazione di quanto la band abbia confidenza con la melodia.

"Open Season" è un album denso di vivaci motivi e di alcuni doverosi tributi, ma è giusto rimarcare che in mezzo ci troverete anche tanto dei British Sea Power. E allora, good luck guys, che le classifiche (almeno) siano con voi.

26/10/2009

Tracklist

1. It ended on an oily stage
2. Be gone
3. How will I ever find my way home?
4. Like a honeycomb
5. Please stand up
6. North hanging rock
7. To go to sleep
8. Victorian ice
9. Oh Larsen B
10. The land beyond
11. True adventures

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