I brani sono più che altro gustose schegge, suonate senza gran capacità tecnica, ma con buona dose di originalità, riciclatrici soprattutto, ma con fantasia e senza mai essere pedisseque copie. Forse la non pretenziosità nasconde un non voler/poter osare, una mancanza di stazza che danneggia un po’ il risultato finale, dato che non sempre le miniature presentate sono permeate da quella brillantezza necessaria a decretare il pieno successo dell’operazione. La prospettiva surreale della band è visibile già dal primo pezzo, "If Only the Moon Were Up", chitarrismo wave e richiami di Knack vanno a scontrarsi con squilli di tromba e una chitarrina country, il canto procede stralunato e asseconda i giochi melodici, il passo è lento, il piglio strumentale decisamente amatoriale, furbo e puro al tempo stesso.
Ancora bene con "Tell Me Keep Me", indie-rock trasfigurato, rintocchi di piano, coretti e violini con saporito eccesso di zuccheri. L’aria è lieve e gaudiosa. Purtroppo molte idee riescono a metà, come "Pieces", che vanta un buon giro di piano e buon contrappunto di elettrica, ma è brano sin troppo leggerino o come la successiva "Luck Is a Fine Thing", archi e melodia (invero non eccelsa) dal sapore beatlesiano riscattata da un improvviso passo di danza. Ancora archi e pianoforte in evidenza in "Shorter, Shorter", cantata in un falsetto un po’ eccessivo e per questo convincente. "It’s Not the Only Way to Feel Happy" è l’unica "canzone classica" del lotto. Delicato giro di chitarra, campanelli e tamburi evocativi, canto rilassato e synth pulsanti a iosa a dimostrare che la band ha le carte in regola per rischiare quel qualcosa in più che, come si diceva, sarebbe forse auspicabile.
Al repertorio maggiore sono attribuibili anche l’atmosfera fumosa e sottilmente tesa di "Got to Get the Nerve" e la gemella in opposizione, "Got to Write a Letter" spigliata cavalcata svelta e squillante. Altrove invece i Field Music continuano a non brillare a pieno, come in "17", percussioni incisive e reiterate, mood degli ultimissimi Mercury Rev ed evoluzione del pezzo un po’ troppo prevedibile e come nel singolo, la catchy e corriva "You Can Decide".
Dunque alla fine il disco convince a metà. E’ comunque consigliabile per la sua freschezza e leggerezza, per la sua spigliatezza e, diciamolo, anche per il talento della band. Purtroppo però, il consiglio è limitato più che altro agli amanti del genere. Gli altri si segnino comunque il nome, che in chiave futura potrebbe regalare sorprese positive.
(01/03/2006)