Petra Jean Phillipson

Notes On Love

2005 (Gronland / Emi)
folk-blues

Se vi trovate in uno stato d'animo instabile, incline alla malinconia, se avete appena perduto una persona cara o se (come chi scrive) vi trovate "semplicemente" nel bel mezzo di una terribile giornata di pioggia, maneggiate questo album con cautela. All'interno di "Notes On Love" c'è infatti il tormento, il dolore, la passione. In una parola: il blues.
L'umore è nero, infernale come la voce di Robert Johnson e le pagine di Edgar Allan Poe, raggelante come lo sguardo di Petra Jean in copertina: una splendida dark lady in fuga dal Kent.

Registrate alla fine dello scorso anno negli studi londinesi di Mayfair con la produzione di Simon Tong (ex-Verve), queste undici "riflessioni" hanno avuto in realtà molto tempo (ben otto anni!) per nascere e maturare nella mente della cantautrice trentaduenne. Petra non è una "absolute beginner": qualcuno la ricorderà alla guida dei Free Associates, band di punk-funk con un album all'attivo e parecchia promozione (tour oltreoceano, festival di Glastonbury, televisione) grazie al mentore David Holmes. Parecchie anche le parti vocali prestate ai dischi di Beta Band, Grand Drive, Martina Topley-Bird, Marc Almond, Mad Professor e via dicendo. La sua voce è duttile, capace di disimpegnarsi tra tonalità di falsetto e medi-bassi senza mai perdere d'effetto.
Dice di amare alla follia l'hip-hop ma per il suo debut album si è armata di attrezzature scarne ed essenzialmente acustiche.
In un primo momento doveva produrlo Rob Ellis, già con Pj Harvey in "Dry". Poi qualcosa va storto e le session nella campagna del Devon vengono abbandonate. Ciò che rimane è una "scura corrispondenza di lugubri sensi" tra Petra Jean e Polly Jean: un'attitudine graffiante nel raccontare la melodia (ascoltare lo spleen teatrale di "Independent Woman" per credere) e una sicurezza espressiva che va ben oltre le semplici assonanze tra i due nomi.

"Notes On Love" somiglia a un'autostrada abbandonata in mezzo al nulla, una cattedrale diroccata popolata dai fantasmi di Billie Holiday, Bessie Smith e Jeff Buckley. Sa di vecchia radio gracchiante in "Billy Steaks", con l'armonica e il country/blues luciferino; parla un linguaggio sboccato ("I Want The Impossibile") per poi tornare a incantare con "Nothing If Not Writing Time", con l'acustica arpeggiata alla Leonard Cohen e una verve degna di Marianne Faithfull.
Si discende sempre più negli inferi con "I'm Lying": una chitarra elettrica effettata, la ritmica sospesa e le atmosfere di un film di Tarantino con Smog e Calexico in qualità di guest star. Lo spiraglio di sole arriva con "Into My Arms", unica cover del lotto: la difficile impresa di rileggere Nick Cave è del tutto riuscita, con lo strano effetto di sgomberare i fantasmi del passato con un fischiettio alla Otis Redding seduto su tappeti di tastiere celestiali. E se "Oh Me Jack" vibra di un impeto quasi "flamenco" (battiti di mani, piatti accarezzati), con "Wildfire" si nuota a testa in giù nella lava di Acheronte: poche note di pianoforte, il contrabbasso suonato con l'archetto, gli incroci di chitarre. Il brano sembra non concludersi mai, risorgere continuamente dalle ceneri senza urlare né rimanere in silenzio. Una stasi straziante e magnifica, raggiunta in tempi recenti solo da Antony & The Johnsons.

Il disco potrebbe finire tranquillamente qui e invece insiste con la tribale "Cradle Of Your Smile", i tamburi voodoo e i demoni di Tom Waits. Lunghi minuti di nulla e poi la breve ghost track, un lamento folk a cappella. Qui c'è tutta la personalità di Petra Jean, il riassunto del viaggio, il canto della sirena che esce "infine a riveder le stelle".
Avvicinatevi con cautela a questo disco. Il rischio è di rimanere sepolti vivi nel blues, il gioco vale assai più della candela.

15/11/2005

Tracklist

  1. I Want The Impossible
  2. One Day
  3. Independent Woman
  4. Billy Steaks
  5. Nothing If Not Writing Time
  6. I'm Lying
  7. Pay Play
  8. Into My Arms
  9. Oh Me jack
  10. Wildfire
  11. Cradle Of Your Smile

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