Un talento poliedrico. E' questa la definizione che meglio si adatta a definire Eric Bachmann, figura non molto conosciuta (almeno qui in Italia) dell'indie americano, attiva dagli anni Novanta e coinvolta in progetti disparati (rock, folk, country, world music, new age). Non un fine sperimentatore, ma un musicista preparato, curioso, appassionato. Mentre era ancora in giro a promuovere l'ultima fatica (il riuscito "Dignity And Shame", a nome Crooked Fingers, da un po' di tempo suo progetto principale), ecco la nuova idea, la nuova tentazione. Un disco di storie d'isolamento, forzato e non.
Per dargli vita in modo appropriato è occorso spogliarsi di tutti gli orpelli vestiti in passato, suonando folk "puro". Con l'armamentario indipendente se ne sono andati anche i nomi: dando spazio, così, alla carta d'identità. "To the Races" non è il primo disco solista del Bachmann musicista (preceduto da "Short Careers", una colonna sonora del 2002), ma è il primo disco solista del Bachmann cantautore. Da due mesi di lavoro vengono fuori dieci canzoni, che confermano il maggior pregio dell'artista: il saper scrivere.
La prima figura delineata è "Man O War", sei minuti dylaniani di chitarra arpeggiata e racconto, cori femminili memori di Leonard Cohen (il maestro sarà citato anche attraverso il titolo di una canzone), bella e accorata riflessione a voce pulita. Il disco si muove però lungo binari differenziati: un'emozione diversa, qualche tocco d'arrangiamento diverso, un diverso modello. Così in "Home" si cita lo Springsteen acustico, per dar vita a una intensa esecuzione, ferita e sorvolata da un violino; mentre "Carrboro Woman" è un canto romantico con tanto di sbuffi di armonica.
Il canone qualitativo è pressoché identico per l'intera durata. A innalzarsi (oltre alla traccia d'apertura) sono "Genie, Genie", breve, emancipata, tosta, attenta e decisa, "give me something, I'm looking for something"; e "Little Bird", il brano migliore, quiete intrisa di purezza, ballata pianistica da cui non è solo lecito ma anche doveroso estrarre il verso-manifesto del disco: "some people search every corner to find a place where they belong/many fall back out of order and many more go down alone". La maggiore variazione formale è invece la title track, breve strumentale per incroci di violino e chitarra.
L'ennesimo capitolo "atipico" della saga di Bachmann è un disco discreto e godibile, che si lascia ascoltare con piacere e che trova i suoi punti di forza nei testi, negli arpeggi di chitarra e nelle qualità autoriali del musicista della Carolina del Nord. Qualche soluzione (e sapore) di maniera e la mancata trasformazione, nel grosso dei brani presenti, dell'emotività in emozione ne impediscono un giudizio migliore, pur viaggiando tranquillamente nel versante della positività.
16/10/2006