Son passati due anni da "You Are The Quarry", album non del tutto riuscito ma che rompendo un silenzio che durava dal 1997, lo riportò a quel successo che gli mancava da troppo tempo, e cosa più importante fece circolare il suo nome presso una vasta fetta di pubblico che o lo aveva dimenticato o, come molti dei più giovani spettatori di Mtv, non lo conosceva affatto. E lo shock di vedere passare in trasmissioni come Trl il video di "Irish Blood, English Heart" non è facile da dimenticare. Eccolo di nuovo dunque lo splendido quarantaseienne Morrissey; e quello che sale in cattedra in questo nuovo "Ringleader" è un artista prima di tutto evidentemente rinfrancato dai buoni riscontri e dall’attenzione riservatagli in questi ultimi due anni, un artista tornato entusiasta e sicuro di sé e sereno, almeno per quanto possa esserlo la voce storicamente più inquieta, polemica, amata e odiata della sua generazione.
Come si sa, "Ringleader" è stato registrato a Roma, città che è il nuovo grande amore di Morrissey, con un mostro sacro come Tony Visconti in cabina di regia, anch'egli probabilmente molto motivato e desideroso di pronto riscatto dopo l'inenarrabile flop di "Reality", il suo ultimo lavoro con David Bowie. Sgombrando subito il campo da equivoci, l'album non è affatto, come pure si vociferava, un concept sulla città. I riferimenti in questo senso nei testi sono anzi l'aspetto forse meno interessante di un lavoro che intanto trova grazie alla produzione di Visconti quella compattezza che mancava a "You Are The Quarry". Quello che ci riserva Moz non appare un concept, dunque, ma una nuova collezione di personali visioni e riflessioni, che a volte si specchiano - a dire il vero senza graffiare più di tanto - nell'attualità più scottante, più spesso assumono toni accorati e dolorosamente sognanti. Ma al centro c'è sempre lui, Stephen Morrissey e il suo sguardo disincantato e pungente.
L'ispirazione del nostro prende dunque forma in canzoni complesse come l'acida e insolitamente cupissima arringa iniziale, "I Will See You In Far Off Places" e la lunga "Life Is A Pigsty", una delle pagine più riuscite e coraggiose della sua carriera solista. Le canzoni si segnalano, tutte, per la loro perfezione formale. "Dear God Please Help Me", al cui arrangiamento ha contribuito Ennio Morricone, eccede forse in sentimentalismo, ma anche nei momenti meno convincenti (ad esempio l'immancabile ballatona à-la Elvis "I'll Never Be Anybody's Hero Now") a salvare la baracca c'è sempre quella voce, calda e profonda, in grado di emozionare come poche altre. Peccato che se da un lato Morrissey si mostra ispiratissimo come ai bei tempi degli Smiths nel costruire il ritornello killer (appunto!) di "You Have Killed Me", splendida, perfetta pop-song saggiamente scelta come singolo apri-pista, dall'altro canzoni come "The Father Who Must Be Killed" o la conclusiva "At Last I Am Born", per quanto la forma sia, come detto, impeccabile e pure i contenuti non manchino, non riescono a catturare come dovrebbero.
Funzionano meglio brani più diretti e meno ambiziosi come "On The Streets I Ran" e "The Youngest Was The Most Loved" che d'altra parte non fanno che ricalcare il singolo, con solo un po' di brillantezza in meno. E sia il brano più pop, "In The Future When All Is Well", che quello più atmosferico "To Me You Are A Work Of Art", sanno fin troppo di maniera. Eppure alla fine "Ringleader" è album non solo decisamente migliore del precedente, ma forse il miglior Morrissey dai tempi di "Vauxhall And I". Soprattutto perché ci regala un interprete in gran forma, e di questo non possiamo che rallegrarci. Peccato che le canzoni quasi fatichino a stargli dietro.
In ogni caso, se le canzoni memorabili scarseggiano, restano la sua voce e le sue parole. Quelle sì, ancora e sempre, da mandare a memoria.
03/04/2006