S'è fatto attendere a lungo (quattro anni) e con trepidazione questo "Comfort of Strangers", quarto disco di Beth Orton. Il suo predecessore, "Daybreaker", aveva lasciato un po' di amaro in bocca in quanto trattavasi di lavoro ambizioso ma non completamente a fuoco, più che altro salvato dalla presenza di qualche gemma come "Paris Train", capace di valere da sola il prezzo del biglietto.
Era stata però proprio la presenza di pezzi del genere a lasciar intendere che la coinvolgente vena malinconica della bellissima cantautrice londinese sapeva ancora come colpire. Probabilmente la Orton ha immaginato che fosse stata la stessa ambizione e cura della struttura sonora dei pezzi a portarla lontana dall'esprimere a pieno il suo talento melodico: accade così che il nuovo disco si presenta molto più misurato, classico, ben suonato, arrangiato con grazia e classe (Jim O'Rourke in produzione).
In definitiva normalizzato, un po' come la Tori Amos di "Scarlet's Walk". Tutto che si limita ad accompagnare senza strafare, lasciando spazio ai bozzetti melodici della protagonista (tra l'altro molto meno mesti che in passato). "Comfort of Strangers" inizia bene, con "Worms", un piacevole e breve saltarello mid-tempo, con piano sostenuto e drumming incisivo (Tim Barnes, Silver Jews).
Il primo singolo scelto, "Conceived", regala quieta gioia, dipanandosi lungo un semplice motivetto di basso, con violini, piano e campanelli. La bella title track, tra piano, acustica e falsetto (con qualche colpo d'organo in lontananza), richiama invece a gran voce il fantasma di Joni Mitchell.
La mano di O'Rourke si evidenzia in "Heartland Truckstop", motivetto leggero country-pop in territorio Wilco.
Sono brani in linea di massima godibili e carini: non sarà sempre così e capiterà di imbattersi in qualche pezzo meno riuscito. Come "Recify", che mette in campo un tribalismo appena accennato e "Feral Children", una poco coinvolgente nenia che cerca di ricalcare le atmosfere maggiormente dolenti del passato. La stessa operazione che riesce invece a "Safe in Your Arms", per chitarra, voce e desolati squarci di armonica.
A variare un po' i mezzi espressivi arrivano "Shopping Trolley", festosa, con piano vagamente rock'n'roll e lievi colpi di elettrica, e "Heart of Soul", un accorato soul in crescendo. Nel finale arriva anche l'unico capolavoro dell'album, la delicata e sognante "A Place Aside".
Come abbiamo detto, lo scopo di usare una forma espositiva più semplice era quello di riportare in evidenza la melodia: la missione riesce ma non sempre è un bene. Se quasi nessun brano è capace di competere con i fasti del passato, ciò è anche dovuto al fatto che le vecchie alchimie non sono ritrovabili con questa nuova formula.
I picchi di attenzione sono in maggioranza, è vero, anche se, quando si vanno a tirare le somme, l'aggettivo che viene maggiormente in testa per definire "Comfort Of Strangers" è "innocuo".
22/12/2006