Pengo

Cosmology Of The Broken Saints

2006 (Hippie Overdose)
impro-noise, drone-psichedelia

Accostarsi al mondo dei cd-r è un buon modo per tastare il polso al sottobosco musicale, sinonimo, quest'ultimo, nella maggior parte dei casi, di musica spiazzante, visionaria, senza compromessi. Qualche volta, addirittura, inaudita. Non sarà, forse, il caso degli americani Pengo, ormai titolari di un numero cospicuo di pubblicazioni "sotterranee", ma è pur sempre vero che la loro musica rappresenta, oggi come oggi, uno dei tanti, buoni motivi per tenere sempre le orecchie deste dinanzi al sommerso che, di volta in volta, riesce a raggiungere la superficie.

In questo "Cosmology Of The Broken Saints" troviamo due lunghe composizioni-improvvisazioni, registrate dal vivo. Dopo il passaggio dall' out-spazz-noise al noise rielaborato in chiave drone-psichedelica (passaggio avvenuto giusto un anno fa con "Alchemy And Bullshit"), Jason Finkbeiner, John Schoen, Nuuj e Joe Tunis sembrano voler ormai sviluppare un discorso maggiormente d'atmosfera, di ipnosi subdolamente indotta. Musica come questa appare figlia sia dell'atto meramente improvvisativo (anche se mai del tutto lasciato al caso), sia della volontà di dare vita ad un flusso totalizzante di suoni e rumori, ad un continuum di segni musicali sempre in bilico tra descrittivismo (astratto...) ed espressionismo puro e nudo. "Seven Sparrows" inizia in mezzo a rombi cosmici, fratture industriali, pulsazioni microscopiche, quasi richiamando alla memoria la "Driver U.F.O." dei Dead C, prima di evolvere, lentamente, in un concerto di frequenze, distorsioni e uno sferragliare-sventagliare spazialoide di chitarre.

Quando il suono si fa più meditativo, quasi te lo aspetti che i Nostri vadano a parare in territori indianeggianti, in uno spettro d'influenze che potrebbe tranquillamente avere come punti di riferimento fondamentali certi Pink Floyd prima maniera e i Charalambides più dilatati e trasognati. Il finale, però, è tutto in balia di sovratoni e cupezze assortite, preludio alla successiva "100 Years Of Rust/Hobo Sacrifice", aperta da uno scenario ancora più inquietante. L'agitarsi lontano di frequenze bassissime, rumori sparsi qua e là: sembra quasi di zoomare dentro un mondo sonoro pressoché impenetrabile e quasi si ha terrore che, da un momento all'altro, tutto possa collassare al suono di un'esplosione. Invece, da par loro, i Pengo scelgono ancora la strada della costruzione lenta ma inesorabile, sfociando dapprima in una sorta di mantra para-industriale, poi in una navigazione out-space che incamera ancora ossigeno orientale, ed infine in una disordinata ragnatela di simboli sonori e collassi armonici, un po’ Throbbing Gristle, un po’ Rake.

E’, insomma, una musica palpitante, sempre foriera di vibrazioni sinistre, di rigurgiti concreti (il rumore di presse, le scosse elettriche, gli ingranaggi non oliati), di diapositive sbiadite che parlano di una quotidianità febbrile, angosciosa ed angosciata. Teniamoli d’occhio, perché potrebbero essere grandi.

Tracklist

  1. Seven Sparrows
  2. 100 Years Of Rust/Hobo Sacrifice

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