Ci si rimane sempre male quando un gruppo che ti piace si impantana nei fondali della perdita d’ispirazione, ancor di più se i diretti interessati sono ragazzi giovani.
L’omonimo esordio dei Coral aveva lasciato più di un'impressione favorevole. Niente da far gridare al miracolo, certo, ma un gruppo che faceva divertire con un pop allacciato sì al filone british ma con una deriva sixties e psichedelica che rendeva il tutto frizzante, fresco e gradevole.
Con il secondo disco (“Magic & Medicine”, 2003) avevano mantenuto le qualità e le promesse del debutto continuando a fare ben sperare, ma dagli album successivi si è cominciato a intuire che si fosse rotto qualcosa nella giocosa macchina The Coral e “Roots & Echoes” conferma in maniera drastica questa sensazione.
L'ultimo album di James Skelly e compagni non possiede praticamente nulla della verve divertita e stimolante dei primi album, si limita a spararci un bel singolo, (“Who’s Gonna Find Me”) che apre la tracklist con uno psych-pop di classe chiaramente influenzato da Arthur Lee e i suoi Love, oppure due episodi debitrici dei Doors, uno vicino alle cose più pop (“Remember Me”), l’altro (“Fireflies”) figlio della psichedelia ambigua di “Strange Days”.
Non male neppure “In The Rain”, vivace britpop in cui le influenze anni 60 funzionano alla perfezione, ma per il lato positivo possiamo fermarci qui.
Il resto di “Roots & Echoes” si smarrisce in una caterva di ballate noiose in cui l’ascoltatore rischia una crisi da iperglicemia; difficile arrivare in fondo a canzoni come “Jaqueline” o “Rebecca You”, praticamente impossibile farlo per la lagnosa “Not So Lonely”, un filino meglio “Put The Sun Back” e la trasognata “Cobwebs”, ma di sicuro niente che non abbiate già sentito da qualcuno che lo faceva meglio.
Il tentativo dei The Coral era forse quello di crescere sotto il punto di vista musicale, in arrangiamenti e composizioni, ma francamente l’esperimento non è proprio riuscito; molto meglio la naïvitè degli esordi, sia per l’onestà intellettuale e compositiva che per l’atteggiamento più divertito e meno professionale.
Non si può prevedere se il gruppo di Liverpool si risolleverà da questa crisi creativa, l’unica speranza è che mettano da parte inutili e pretenziose dimostrazioni di maturazione e facciano un passo indietro, laddove parevano sentirsi più a loro agio e, di rimando, facevano divertire di più anche noi.
23/10/2007