La musica
"Non è esattamente quello che i Marlene erano prima, ma i Marlene non saranno mai esattamente quello che erano prima: cercano sempre di sorprendere prima di tutto sé stessi, perché credo sia compito di un artista quello di non far cose che crede di aver già fatto prima, con tutto che, in ogni caso, sono anche sostanzialmente consapevole che un artista ha alcune frecce al suo arco e non ha la globalità delle frecce disponibili perché ogni artista si colloca per alcune sue caratteristiche, per la sua cifra stilistica [...] Mi pare che molti gruppi spesso, in qualche modo, una volta scoperto il segreto di come funzionano le cose, bene o male girano intorno a quelle per consolidare le cose. Noi, in questo senso, paghiamo un po' la nostra pretesa di non essere così."
E' Cristiano Godano che parla, nell'intervista-fiume rilasciata per Onda Rock dopo l'uscita di "Bianco sporco", nel giugno 2005. La sua è l'analisi più lucida che si possa fare sulla carriera dei Marlene Kuntz. Tre album che li hanno consegnati agli annali del rock italico, tre album in cui cambia poco o nulla, prima di una serie continua di svolte, riuscite o meno, coraggiose e figlie di un'onestà di fondo verso un percorso personale.
"Uno" è forse la più clamorosa di queste, con la band di Cuneo che approda a un rock dal taglio nettamente autoriale, eppure oscuro o comunque elaborato, sonoramente ricco di sfaccettature. Un disco di disequilibri, in cui si osa su tutto, a partire dalla voce, dal mezzo falsetto evocativo di "Canto", un uso deliberatamente improprio del mezzo (Godano è un cantante particolare e anche efficace, ma non ha esattamente una bella voce), dalla resa comunque accettabile. Proprio la traccia d'apertura è uno degli esperimenti più arditi, batteria vagamente jazz, colpi di cristalli, chitarrismo teso e involuto, lavorìo infinito di Marroccolo al basso, controcori e un inciso affatato e quasi lirico. Risultato gradevole, portato a compimento nella successiva "Musa", brano più pop che rock, luminosa ode che s'avvale del pianoforte di Paolo Conte.
Da "111" iniziano a emergere dubbi sulla fattibilità e riuscita del progetto. Canzone a due facce, prima parte con chitarrismo lento e avvolgente, seconda con esplosione di suono violento, poco convincente in ambedue i versanti. "La ballata dell'ignavo", gonfiata eccessivamente dall'orchestrazione, e la mielosa "Canzone sensuale" sono i vertici di pathos romantico, ma anche i brani resi peggio.
Meglio, molto meglio, quando i Marlene si caricano di stranezze, come nell'atmosfera far-west su cupi cerchi di chitarra di "Fantasmi", con gli sgraziatissimi ululati di controcoro e la carica elettrica del finale. Il corpo centrale paga però l'ulteriore dazio dei troppi brani minori, magari non riempitivi in senso stretto, ma sicuramente non brillanti (l'onirica "Abbracciami"; i giochi di ralenti e ripartenze di "Sapore di miele"; la tenerezza sfuocata di "Canzone ecologica"). Per ritrovare uno spunto significativo bisogna finire in orbita Csi, con la title track, tradizionale rock-song epica con inciso e muro chitarristico efficaci.
I testi
Ancora una volta la migliore presentazione è del gruppo: "Uno, un disco sull'amore, sull'incanto e la dannazione".
L'ottimo testo di "111" parte dall'inizio e dalla fine naturale di una coppia media ("Lei lo amava in qualche modo, lui la amava più che poco e la vita proseguiva così") per sfociare in una storia di violenze culminate in delitto ("ma quale orrore quando mi accorsi di averla punita massacrandola a martellate"). Bene anche "Canto", sulla perdita di un amore ("Canto il nulla che prenderai, dalle folli mie pene, e non mi è di consolazione sapere che son figlie anch'esse di te") e "La ballata dell'ignavo", sull'incapacità di amare ("Ohh, rileggi una volta in più, fino a farti impressionare, in quei fogli lilla ci sei tu, e ti vogliono toccare a fondo, nel cuore di una sensibilità manchevole").
"Fantasmi" è invece una saltuaria uscita dal tema, deliziosa invettiva contro i critici ("Stavi pensando è bollito quello lì, me lo ha detto il fantasma che lavora per me") altezzosa e sincera ("Mi piaccio un sacco e se mi stimo anche di più tanto a tirar giù il prezzo poi ci pensi tu").
Il resto è qualche scolastico ritratto di topoi ("Musa", sulla donna ispiratrice; "Sapore di miele" sull'intensità carnale), fra qualche buona intuizione ("Non ho mai cessato di amarti, ma non riesco più a baciarti", da "Uno") e qualche eccesso ("Canzone sensuale").
Conclusioni
Disco atipico e coraggioso, con una solida idea di fondo, tanto lavoro e tanta buona volontà, "Uno" non riesce a tradurre le voglie in adeguate canzoni compiute, riuscendo piuttosto solo a far intuire, a tratti e a livello di atmosfera, il valore che aspirava a raggiungere. Il che, motivi per complimentarsi a parte, non può essere ritenuto sufficiente.
18/06/2007