Ween

La Cucaracha

2007 (Schnitzel)
art-pop

Pennsylvania, 1984: Aaron Freeman e Mickey Melchiondo si scoprono affascinati dallo stesso demone musicale, integrano i loro demo-tape, assumono nuove personalità (Dean e Gene Ween), suonano come supporto a Fugazi e Butthole Surfers, prima di approdare al brillante esordio "GodWeenSatan: The Oneness", seguito da capolavori dell'alt-rock come "Pure Guava"e "White Pepper" e altri episodi di elevata statura come "Chocolate & Cheese" o "The Mollusk".
La loro attitudine punk si esprime attraverso un divorare qualsiasi fonte musicale - boogie, folk, bubblegum pop, reggae, hard-rock - ma, diversamente dai pur bravi They Might Be Giants, i Ween si candidano come gli eredi più "art-pop" di Frank Zappa e Captain Beefheart.

Dopo quattro anni, finalmente il nuovo progetto in studio, "La Cucaracha", conferma il surreale e sarcastico sound del gruppo, che nel decennio Novanta ha inciso sette eccellenti album e dal 2000 ha pubblicato quattro lavori dal vivo, una raccolta di rarità e un solo disco in studio, "Quebec", che non brillava per coesione risultando meno incisivo. Proprio i vari live-album, invece, mostravano una crescita strumentale che trova finalmente sfogo in quest’ultimo progetto.
Non fatevi sviare dai primi brani che, tra gli aromi messicani di "Fiesta", il pop di "Blue Ballon" e la dance di "Friends" (pezzo conosciuto in una versione-singolo superiore alla presente), mostrano meno genialità del solito: il resto del disco è superbo.

"Object" è una geniale ballata in stile soft-rock, dal cantato molto retrò e dal testo falsamente romantico, con splendide soluzioni strumentali che la rendono già un probabile classico del loro repertorio; "My Own Bare Hands" è una stupenda rock-song sorretta da una furiosa chitarra, degna del punk: Dean ci regala una intensa interpretazione vocale su un testo esilarante, in cui una studiosa di "cock" impartisce al possessore lezioni per un uso migliore. Anche "Shamemaker" cita l’era punk, ma questa volta in modo più "British", con soluzioni graffianti e ironiche.

Molte slow-song tra le restanti, con "Sweetheart In The Summer" che tra richiami surf e sixties sembra uscire dalle mani di Todd Rundgren, con la voce pigra di Dean volutamente inconsistente; il piano sorregge l’intensa "Lullaby", canzone sincera sull’amicizia dove l’arpa sottolinea le splendide tessiture armoniche, mentre l’altra love-song "Spirit Walker" gioca ironicamente sui luoghi comuni delle canzoni mainstream-pop, con voce psichedelica e testo surreale.

Il reggae ricompare nella ottima "The Fruit Man", irresistibile per ritmo e melodia, con un testo geniale su illeciti affari al mercato del pesce tra un nero e un cinese (!). E anche il country rientra in modo brillante attraverso la martellante "Learning To Love", che vi farà cantare il ritornello all’infinito, spronandovi a riascoltare il loro album più vicino a queste sonorità, "12 Golden Country Greats".
La lunga "Woman And Man" si apre tra suoni afro preparando la base sonora per una splendida jam-session, ricca di intrecci tra chitarre e ritmi degni della migliore tradizione rock americana. Il finale viene affidato al perfetto radio-pop di "Your Party", che riporta alla luce l’amore del duo per i mai dimenticati Steely Dan, con il sax in bella evidenza.

L’attesa è stata premiata e i Ween ci hanno consegnato un’altra opera degna della loro statura, nonostante le (poche) perplessità che accompagnano le prime tracce. Abbiamo bisogno di album come questi per riconciliarci con la musica.

21/10/2007

Tracklist

  1. Fiesta
  2. Blue Balloon
  3. Friends
  4. Object
  5. Learnin' To Love
  6. My Own Bare Hands
  7. The Fruit Man
  8. Spirit Walker
  9. Shamemaker
  10. Sweetheart In The Summer
  11. Lullaby
  12. Woman And Man
  13. Your Party

Ween sul web