Troppo spesso il problema più evidente delle band di casa nostra non è tanto quello di essere italiane, e per questo motivo tagliate fuori a priori da ogni seria possibilità di successo internazionale, oltre che di vero appeal anche sul nostro territorio. Il vero problema è che qui da noi si arriva troppo spesso clamorosamente tardi “sul pezzo”, spesso davvero fuori tempo massimo.
I Nirvana sono delle icone? Ecco che due anni più tardi il 70% delle nuove teen band italiane suonano come fossero composte da tanti piccoli Cobain. I Pearl Jam provocano delirio? Giù tutti a rincorrere il sogno di diventare un Vedder un miniatura. Gli Strokes sono il nuovo hype? Mettiamocela tutta per impersonare il Casablancas de’ noantri. I Franz Ferdinand spopolano con quella miscela di indie + disco? Kapranos, siamo tutti tuoi adepti!
In Italia c’è il dramma di non riuscire a tirar fuori un’idea con un minimo di personalità, e non lamentiamoci poi se le rassegne nazional-popolari continuano ad essere popolate dagli stessi personaggi amati dai nostri nonni.
Con i Banshee (poco originali sin dal nome…) siamo di fronte all’ennesima formazione che sa suonare ed esprimersi bene in lingua d’Albione, ma propone una miscela sonora che già qualche anno fa sarebbe apparsa come digerita ed assimilata. Suonano come l’indie di inizio decennio, proprio nel momento in cui la vera tendenza internazionale è riproporre certe trame al confine fra noise e shoegazing.
Per carità, l’intento non è demolire la fresca opera seconda dei quattro ragazzi di Genova (l’esordio di “Public Talks” risale a due anni or sono), quanto cercare di contribuire almeno dal punto di vista teorico con una scossa affinché ci si smuova dalle solite posizioni italiote.
In “Your Nice Habits”, il tentativo di dare respiro europeo al lavoro c’è tutto, visto che la produzione è stata affidata a Luke Smith e che il mixaggio e la masterizzazione sono avvenuti a cavallo tra Londra e Bristol.
I primi risultati sono stati una citazione sul New Musical Express, tanti concerti in Italia e all’estero, passaggi radiofonici su parecchie emittenti inglesi e, dulcis in fundo, la recente pubblicazione del disco anche in Gran Bretagna e Belgio.
Il punto di partenza dei Banshee è rintracciabile in maniera inequivocabile in certo post-punk di matrice Wire, Devo e New Order, sul quale viene cucito un bel vestitino synth-pop attraverso trame elettroniche mai banali. Un po’ i medesimi ingredienti che hanno fatto la fortuna di Franz Ferdinand, Kaiser Chiefs e tanti altri signori venuti alla ribalta in questo primo stralcio del XXI secolo.
Ci sono momenti più vicini ai primissimi Talking Heads (“People Around”, con quella chitarrina che fa quasi il verso al cult “Psycho Killer”), altri in cui si rivivono le sonorità tipiche degli Strokes (cosa che accade in molti momenti, fra i quali segnaliamo l’atteggiamento volutamente annoiato della conclusiva “Colder”, titolo che più dark non si può), altri ancora più spiccatamente prossimi all’alt-rock più abrasivo (“Electric”).
Il disco scorre piacevolmente, con qualche punta più aggressiva da una parte e qualche momento più marcatamente ballabile dall’altra, e alla fin fine possiamo immaginare che con un pizzico di personalità e di coraggio in più il prossimo terzo lavoro potrebbe essere quello della definitiva affermazione.
18/09/2008