O questo album è stato concepito e realizzato in tempi brevissimi, o i Matmos mi hanno mentito. In occasione del loro concerto fiorentino dell’ottobre scorso, infatti, mi avevano garantito che al momento non c’era nessun loro album in vista. Tanti impegni stavano rubando tempo alla musica, primo fra tutti il nuovo lavoro da professore di Drew Daniel alla John Hopkins University di Baltimora, che non riduce il tempo libero del solo Drew. Martin (Schmidt, l’altra metà del duo e compagno di Drew nella vita) mi aveva infatti detto che da quando si erano trasferiti, tutti i mestieri di casa toccavano a lui. In questa nuova situazione (e in tour) è nato “Supreme Balloon”.
Comunque sia andata, però, non poteva mancare il concept, anche se stavolta sembra meno dirompente, forse pure meno ambizioso: “Supreme Balloon” è stato interamente realizzato con sintetizzatori. Sintetizzatori di qualsiasi tipo, forma ed epoca, ma nient’altro. Nessun microfono, strumento principe dell’opera dei due campioni del campionamento.
La bella copertina, fra cosmico e Beatles psichedelici, introduce tutto, con i due che dipingono fantastiche figure con i loro macchinari. Sull’album il loro museo sonoro del synth va dall’oscillatore a fiato impiegato su “Mister Mouth” (e suonato da Marshall Allen, membro della Sun Ra Arkestra) fino al Coupigny, un gigantesco sintetizzatore modulare utilizzato da molti musicisti concreti, e che i due sono andati a registrare direttamente negli studi di Radio France, dai quali non si può spostare.
Nonostante l’assenza dei campionamenti, nei brani più brevi lo stile Matmos esce comunque in primo piano, con i suoi suoni percussivi atipici, le melodie accennate o talmente sghembe da apparire inverosimili, la musica sbriciolata in minuscole particelle, le trovate umoristiche. Sono tuttavia i due brani più atipici i cardini su cui si regge il disco.
Uno è il più ovvio: la gigantesca title track, lunga sinfonia cosmica con tutti i crismi, non tanto rilettura del genere quanto sublime maniera. Per l’occasione Daniel e Schmidt abbandonano la caratteristica frammentarietà del loro suono in favore del largo respiro spaziale, di un crescendo/ascensione infinita sul tappeto (volante) sonoro del Taal Mala, una drum machine indiana.
Il secondo è l'esecuzione di un brano del compositore barocco François Couperin, “Les Folies Françaises”, da cui emerge chiaramente una delle possibili chiavi di lettura di questo album. Walter/Wendy Carlos: basta il nome e si capisce tutto.
Il transgender elettronico per eccellenza era probabilmente l’assenza più vistosa nei dieci ritratti queer di “The Rose Has Teeth In The Mouth Of A Beast”. Tanto vicina al mondo dei Matmos la sua figura che c’è stato bisogno di un disco intero per renderle omaggio. Il kitsch elettronico di “Switched-On Bach” e il suo apporto alla colonna sonora di “Arancia Meccanica” sono elementi fondamentali del suo appeal, generato però anche dalla sua storia personale. Nel tempo in cui David Bowie smetteva i panni di Ziggy Stardust per abbracciare progressivamente una rigorosa eterosessualità, Walter Carlos diventava una donna. Come potevano restare indifferenti Daniel e Schmidt?
Questi, a grandi linee, cornice e quadro del nuovo Matmos. Un album che presenta tutte le caratteristiche dell’episodio minore, ma resta comunque una produzione di altissimo livello a cui non mancano consapevolezza, classe e soprattutto divertente intelligenza. Averne.
P.S. Tanto per gradire, le edizioni in vinile e quella in mp3 (al momento in cui scrivo ancora ignoro se sarà così anche per le normali versioni cd) contengono anche una bonus track d’eccezione. Si intitola “Hashish Master”, e consiste in un’improvvisazione al synth ad opera di Nostro Signore del Minimalismo, Terry Riley.
19/05/2008