Wolf Parade

At Mount Zoomer

2008 (Sub Pop)
alt-pop, pop, alt-rock
6.5

Passati tre anni dal debutto su lunga distanza di “Apologies To Queen Mary”, piccolo grande caso del rock indipendente statunitense (e non solo), periodo nel quale tanto Spencer Krug quanto Dan Boeckner e Dante DeCaro hanno avuto modo di folleggiare con i personali progetti paralleli (rispettivamente Sunset Rubdown e Swan Lake, Handsome Furs, e Johnny and the Moon), si ripresenta dunque il gruppo madre (nato comunque da una costola dei Frog Eyes, rappresentata dal factotum Krug) con il nuovo album vero e proprio. Il sound neo-conservatore della band canadese riparte proprio da qui, dai progetti extra: assemblare (o ri-assemblare) le singole personalità e le personali istanze stilistiche dei tre membri principali (senza dimenticare la batteria di Arlen Thompson e l’elettronica di supporto di Hadji Bakara), lasciando alla provvidenziale Sub Pop l’onere della direzione d’orchestra.

La prima cosa a stupire è anzi il nitore del sound, il suo sfaccettato assetto stereofonico. E’ questo a modellare brani come il turbolento opener di “Soldier’s Grin” o il quasi-demenziale “Bang Your Dream”. Ma l’impressione, di tanto in tanto, è che la forma e il suo equilibrio vengano meno, che anzi conti una gerarchia d’importanza: prima di tutto vengono le tastiere di Krug (gli scampanellii della stessa “Bang Your Dream”, o la meditata “An Animal in Your Cave”), che forse costituiscono la vera voce dell’opera alla quale il canto vero e proprio funge da traboccante contrappunto, quindi si passa per la chitarra di Boeckner (i risvolti psicotici di “Call It a Ritual”), fino ad arrivare a carpire un po’ di spirito d’insieme (il pop esistenziale alla Xtc di “Language City”, o la placida piece wave-retro di “Fine Young Cannibals”), e a gustare la band di “Apologies” nel suo pieno fulgore.

Ancora, il vero valore aggiunto del disco è forse il processo di scoperta di una dimensione solenne sotto una frolla crosta melodica (ormai non più così interessante). Così “California Dreamer”, una canzone che suonerebbe pienamente alla Devo, se non fosse per l’umore caldo delle chitarre e le giravolte delle tastiere, e così per la volata finale di “Kissing The Beehive”, entrambi brani pregni di modulazioni (non rielaborazioni) del motivo principale, o un loro divertissment di citazioni wave e synth-pop, schitarrate e fiere rarefazioni di organo, che li porta a un afflato maestoso di armonie sfuggenti. Ancor più eloquente è “The Grey Estates” (da un punto di vista musicale invero la meno interessante), una canzone melodica - zuccherosa da far struggere gli Apples In Stereo - che tratta le tastiere a guisa di microcosmi serpeggianti, fino ad aprire l’ennesima parentesi d’epos armonico.

Maliardo quando estrae forza vitale da strutture banali, o anche smodato quando scombina le parti in gioco, fonde con finta (e calcolata) noncuranza humour scanzonato su onde anomale di serietà tardo-psichedelica. E’ una forma rivisitata di rivisitazione wave, un po’ Modest Mouse un po’ They Might Be Giants, un po’ sfogo personale accompagnato da giochi inebetiti. Ironicamente, la base melodica - esanime per le dure, quasi sadiche prove cui è sottoposta - rimane il centro dell’attenzione. Mount Zoomer è lo studio di proprietà di Thompson dove è stato mixato il tutto, ma le sue proprietà caleidoscopiche si devono alla Petite Eglise, la chiesa del Quebec dove gli Arcade Fire hanno dato la luce a “Neon Bible”. Un’idea di battaglia tra spiriti creativi proviene anche dall’artwork (Matt Moroz, Liz Huey).

07/07/2008

Tracklist

1. Soldier’s Grin
2. Call It a Ritual
3. Language City
4. Bang Your Dream
5. California Dreamer
6. The Grey Estates
7. Fine Young Cannibals
8. An Animal in Your Cave
9. Kissing The Beehive

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