Chissà che qualcuno non si sia già imbattuto in Dedo curiosando sulla pagina Myspace dei Port-Royal, ove figura al primo posto tra le “amicizie” della ormai rinomata band genovese.
L’amicizia, ovviamente ricambiata, non si limita a quella virtuale, visto che Dedo, ovvero il bolognese Stefano Panzera, con la band di Attilio Bruzzone vanta una collaborazione sfociata tra l'altro in un suo remix della magnifica “Anya: Sehnsucht”, racchiuso nella raccolta a scopo etico “If We Believe Vol. 2” della canadese 9.12 Records.
La medesima etichetta (qui già trattata per Temjiin), rende ora disponibile la versione fisica dell’album di debutto di Dedo, dopo che quella digitale era in distribuzione fin dallo scorso anno.
Prodotto da un nome importante della musica indipendente italiana quale Giacomo Fiorenza, “Solar Day” tiene fede alle premesse artistiche desumibili tanto dalla produzione quanto dalle pubbliche affinità. Non a caso autodefinitosi un ragazzo in una stanza che usa un computer per fare musica, Panzera convoglia nei nove brani racchiusi in questo lavoro e atmosfere liquide e rarefatte riconducibili ad esperienze quali quella dei Giardini di Mirò e la vena più schiettamente elettronica, non aliena da esplicite tentazioni dance, propria appunto dei Port-Royal.
Non si pensi, tuttavia, di essere in presenza di un mero tentativo di compendiare stili espressivi che, con tempi e modalità diverse, hanno saputo ritagliarsi importanti spazi in ambito italiano e internazionale, poiché nei quaranta minuti dell’album Dedo rivela ispirazioni e retroterra ben più variegati.
Se infatti gli avvolgenti tappeti elettronici e i battiti cadenzati che costituiscono i cardini dei suoi pezzi denotano uno spirito facilmente assimilabile a quello dei Port-Royal, lungo il corso dell’album si percepiscono in maniera distinta sferraglianti fremiti chitarristici, spesso diluiti in tracce shoegaze tanto oniriche quanto incisive e in più moderate fascinazioni per certe sonorità della Morr Music. Seppure talvolta questa formula di diretto impatto sonoro ed emotivo (“The Gaze”, “Running”) si perda un po’ nell’insistita ricerca di convogliare verso derive dance l’esuberante substrato chitarristico (è il caso di “The Ballad Of 9”), l’operazione può dirsi in prevalenza riuscita, tanto più in quanto ad essa Dedo affianca ulteriori saggi di uno spettro artistico che comprende significative accelerazioni di passo da discoteca (“Summer”), rimaneggiamenti in bilico tra M83 e Telefon Tel Aviv) e pregevoli dilatazioni, che in “Rain” scolorano in una sorta di ambient, percorsa da flutti elettrici sognanti, prova della bontà di composizioni che possono quindi ben permettersi di fare a meno di ritmi elettronici incessanti.
Un album d'esordio che corona degnamente una già significativa attività sotterranea, segnalando un nuovo artista italiano e la sua personale interpretazione di un'elettronica variopinta e dagli spiccati contenuti emozionali.
21/06/2009