Galvanizzati da questi risultati, gli Howling Bells lasciano la Sydney polverosa per trasferirsi nella Londra iperattiva, sottovalutando la realtà che di gruppi londinesi che suonano musica londinese è già pieno il mondo (figuriamoci Londra!), quindi o lo fai con un certo stile o non riuscirai mai a emergere. “Radio Wars”, che esce per la Independiente (quella di Martina Topley-Bird e dei Travis), impantana gli Howling Bells nelle sabbie mobili. A questo punto speriamo solo che riescano a raggiungere i rami più bassi e trascinarsene fuori con il prossimo album.
La grave pecca di questo secondo lavoro è che ogni componente del gruppo partecipa alla stesura dei brani, al contrario di quanto avvenuto con l'esordio che era stato composto totalmente in solitaria dalla cantante Juanita Stein nella sua cameretta.
“Radio Wars” risente di un disorientamento per le troppe indicazioni che ogni singolo componente del gruppo vuole dare a ogni singolo brano. L’intero disco risulta indeciso e impersonale, dice poco e lascia ancora meno.
Per accontentare tutti, si risparmia sulla melodia delle canzoni, sull’efficacia delle atmosfere e sul coinvolgimento dell’ascoltatore. Poche le tracce veramente ispirate (“Treasure Hunt”, “How Long”, “Golden Web” e basta!), molte quelle forzate che non sanno emozionare (“Let's Be Kids” su tutte).
La musica (per non parlare dell'interpretazione insicura di Janita) è decisamente meno evocativa, più proiettata verso l'indie-rock inglese, e questo trasforma quello che era un gruppo-evento in un gruppo come tanti altri che aspirano a essere la prossima “next big thing”.
Gli Howling Bells danno il via a una rivolta radiofonica e ne escono a brandelli. Che peccato.
(28/03/2009)