L’ossimoro stavolta non è nel titolo dell’album, che pur non rinuncia al gusto del calembour linguistico. Non più rivolte per strade deserte né fragorosi silenzi: l’ossimoro che accompagna il terzo album dei Kings Of Convenience potrebbe essere “nulla è più difficile della semplicità”, e il duo formato da Erlend Øye ed Eirik Glambæk Bøe lo ha messo in pratica nella lunga elaborazione dei brani di “Declaration Of Dependence”, la cui pubblicazione avviene a ben cinque anni di distanza dal precedente “Riot On An Empty Street”.
Tale lungo intervallo è stato sì inframezzato da qualche estemporanea incursione del sempre eccentrico Erlend Øye nelle vesti di The Whitest Boy Alive e in quelle divertite di dj, tuttavia si direbbe che il tempo trascorso sia stato necessario ai due norvegesi per allontanarsi dal clamore di quel successo arrivato un po' per caso e ritrovare l’ispirazione incontaminata e la levità melodica che è valsa loro l’etichetta – inevitabile quanto impegnativa – di eredi contemporanei di Simon & Garfunkel.
Dare un seguito a “Riot On An Empty Street” non deve essere stato facile, visto che le tante canzoni easy e dirette contenute in quel lavoro avevano ormai proiettato i Kings Of Convenience in una dimensione di popolarità che non si aspettavano né avevano cercato (tanto che, mentre Erlend girava l'Europa eil mondo con i suoi progetti paralleli, Eirik decideva di proseguire e completare il proprio percorso accademico). Da “Declaration Of Dependence” sarebbe stato legittimo attendersi un’accelerazione sulla direttrice tracciata dall’album precedente, con brani radiofonici e ritornelli catchy:invece, a riprova della genuinità della loro proposta musicale, i due sembrano aver qui privilegiato una sorta di ritorno ai moderati sussurri dell’esordio “Quiet Is The New Loud” rispetto al quale quasi tutti i brani del nuovo lavoro presentano anzi strutture melodiche ancor più scarne e di impatto meno immediato.
Permangono, ovviamente, gli intrecci vocali delicati ed eterei e così le compassate note acustiche – dalle quali una volta qualcuno aveva inteso trarre la fittizia definizione di “new acoustic movement” – ma le melodie, adesso poco più che imbastite in minimali bozzetti, rappresentano quanto di più ermetico finora confezionato dalla premiata ditta Øye&Bøe. Non che siano assenti (tutt’altro!), ma è evidente che, nel lavoro di scrittura, stavolta, si è privilegiato l'afflato folk rispetto al pop che sembrava avere prevalso nell'ultimo lavoro.
Gli ingredienti sono gli stessi, insomma, ma miscelati questa volta con percentuali decisamente diverse.
L'introduttiva “24-25”, in questo senso è una sorta di manifesto: il delicatissimo fingerpicking suonato sulle corde dinylondella chitarra di Eirik, le voci che suadenti si intecciano e la steel string guitar di Erlend che decora il tutto sono quanto di più minimale ed elegante il duo abbia mai sfornato. Anche “Mrs.Cold”, scelto come primo singolo, sebbene vagamente più articolato, con la presenza del contrabbasso e della viola, scaturisce dal raffinato equilibrio dei vari elementi presenti nella musica dei Kings Of Convenience, senza che uno prevalga decisamente sugli altri. Lo stesso può dirsi per brani come “Me In You”, “Peacetime Resistance” o la già nota “Boat Behind” che, però, accompagnate da viola, contrabbasso e piano, risultano virare verso un pop più immediato e solare. Sotto questo profilo, ancor più che nel singolo d'esordio, il meccanismo pop funziona alla perfezione in “Rule My World”, brano ricercato e soulful, che è difficile togliersi dalla testa già dopo pochi ascolti, nonostante sia costruito solo su pochi accordi di chitarra e sulle immancabili armonie vocali di Erlend ed Eirik.
Ma il fascino dell'album risiede anche nello schivo folk del trittico centrale, “My Ship Isn't Pretty”, “Renegade” e “Power Of Not Knowing” (quest'ultima con uno dei testi meglio riusciti del duo), tutte cantate dalla voce profonda di Eirik, nelle quali al ritornello viene preferita l'atmosfera e al ritmo l'intimità. Lo stesso mood si respira nelle meste note di “Riot On An Empty Street”, titletrack del disco precedente, ma non inclusa in esso (probabilmente per la scarsa omogeneità con il materiale di quel lavoro) e nuovamente registrata per l'occasione: ancora una ballata accorata dove le voci del duo di Bergen si combinano in maniera tenera e toccante.
Poca bianca spuma increspa le placide onde della musica dei Kings of Convenience, eppure essa si rivela anche questa volta sorprendentemente adatta ad ogni situazione: la spiaggia al tramonto della copertina, lo chalet di montagna che caratterizzava l'artwork del precedente lavoro, le vivide serate passate con gli amici a ripercorrere i tempi andati, il solitario abbandono alla malinconia.
È la semplicità estrema che lo caratterizza a far sì che questo pop-folk dagli occhi benevoli riesca a essere il sottofondo perfetto per la poesia delle piccole cose che, a volte, per fortuna, si manifesta anche nel quotidiano.
"So we meet again after several years/ Several years of separation/ Moving on, moving around/ did we spend this time chasing the other's tail?" recita il testo di "Boat Behind" e, insieme al titolo dell'album, "Declaration Of Dependence", queste parole possono attagliarsi perfettamente al rapporto tra Eirik ed Erlend, che, del tutto complementari, riescono ad esprimersi ed esprimere la loro arte al meglio solo quando sono insieme. Ma le stesse parole e lo stesso titolo possono valere anche per chi dichiara apertamente la propria piccola forma di dipendenza da questi due sinceri e appassionati artigiani pop venuti dal freddo.
13/10/2009