André Foisy (chitarra e basso) e Terence Hannum (synth, voce, elettronica), da Chicago, sono i Locrian, creatura artefice di meditazioni sonore al confine tra psycho-doom, black-metal, noise e ambient-drone.
“Drenched Lands” è un disco che assomiglia a molte cose e a niente in particolare. Ed è qui, in questa capacità di sintetizzare un suono dalle diverse ramificazioni (un suono conteso tra luci e ombre, tra la terra e il cielo, tra ruvidezza ed elevazione spirituale), che il duo manifesta tutta la sua abilità. Angosciosa ed estatica, brutalmente celestiale e apocalittica, la loro musica – come la foto di copertina magnificamente suggerisce – è figlia di desolati scenari periferici, di depressioni senza fine, di macerie emozionali che la mente contempla con glaciale distacco, mentre il cuore stantuffa disperato, attimo dopo attimo.
Prima che il rumore di fondo di un amplificatore si lanci nella simulazione di una vertigine cosmica, lo strumming chitarristico dimesso di “Obsolete Elegy In Effluvia And Dross” combatte una mesta battaglia tra caligini vocali. I binari morti, il cielo di ghisa, le fabbriche dismesse, i lampioni che si perdono in lontananza, gli alberi come lagune nere: tutto è già manifesto. Poi, quella vertigine diventa minimalismo galattico scalfito da feedback acuminati, da squarci rabbiosi di wah-wah radioattivo, da gong che esplodono in tutto il loro frastuono metallico (“Ghost Repeater”).
Che siano le urla di un fantasma – lì, oltre la tremula nebbia dell’organo e il gelido brusio del sintetizzatore (“Barren Temple Obscured By Contaminated Fogs”), o sepolte dai guizzi spaziali della chitarra e dai fatali rintocchi delle campane (“Obsolete Elegy In Cast Concrete”) - a renderci partecipi del disastro prossimo venturo? O, forse, è nella stasi immateriale e nella bruma granulosa di “Epicedium” che l’inquietudine si risolve, dopo aver fatto incetta di realtà, in puro dinamismo di pensieri suicidi?
Alla ricerca di una risposta, la musica dei Locrian giunge nelle superbe lande martoriate di “Greyfield Shrines” (uno dei capolavori assoluti di questo 2009): mezz’ora di odissea post-psichedelica, tra stratificazioni convulse, infuocati cunicoli siderali, bufere distorte sull’orlo di una rovinosa detonazione, precipizi supersonici e deliri sovrannaturali.
12/11/2009