Giunto alla soglia dei cinquant'anni (li compirà il prossimo 22 maggio), Steven Patrick Morrissey può essere definito, parafrasando il titolo di una sua vecchia canzone, "the last of the famous international popstars". Sulla cresta dell'onda da un quarto di secolo, con uno zoccolo duro di adoranti seguaci di ogni sesso, età e provenienza socio-geografica, Moz aggiunge "Years Of Refusal" ai due album usciti dopo un lungo iato durato circa sette anni, durante i quali ha ricaricato le batterie e ritrovato la verve e l'ispirazione che negli ultimi lavori degli anni Novanta andava pian piano spegnendosi.
Album dalla gestazione difficile, il nono di studio della carriera solista dell'ex-Smiths è rimasto in un cassetto per oltre un anno, con l'eccezione di due canzoni, la classica (e liricamente un po' rozza) "That's How People Grow Up" e la ruvida e immediata "All You Need Is Me", che sono nel frattempo uscite sia come singoli che nel "Greatest Hits" del 2008.
Probabilmente Morrissey non era del tutto soddisfatto dal lavoro svolto dal produttore Jerry Finn, prematuramente scomparso in agosto (produttore di tanto pop-punk moderno, dai Green Day ai Bad Religion) con il quale aveva già lavorato in "You Are The Quarry", fatto sta che le registrazioni sono state riviste e corrette e definitivamente mixate solo nella scorsa primavera.
Il faticoso frutto di tale lunga e laboriosa gestazione è un album grintoso e diretto, ispirato e vitale. Non distante dalla precedente produzione di Morrissey, se ne differenzia soprattutto per la maggior compattezza e immediatezza. "Years Of Refusal", infatti, è una raccolta di canzoni dal piglio deciso e dal ritmo veloce che, pur priva dei picchi e delle vette raggiunte nei due precedenti lavori - mancano brani di categoria "superiore" quali "Let Me Kiss You", "Life's A Pigsty" o "Dear God, Please Help Me" - non ha cadute di tono, non ha riempitivi né brani davvero deboli.
Evidentemente sperare che Morrissey possa distaccarsi del tutto dalla propria aura di icona rock-mod, sarebbe pretendere troppo e, probabilmente, chiedergli qualcosa che non è nelle sue corde. Ma, sebbene l'originalità e l'innovazione non siano le sue caratteristiche, "Years Of Refusal" ha i propri punti di forza in quelle che sono da sempre le qualità specifiche dell'artista di Manchester: la sua inimitabile voce, che si arricchisce e affina di lavoro in lavoro, i testi, sempre suggestivi e sarcastici e quella profondità emotiva che ne contraddistingue, come un marchio di fabbrica, l'intera produzione. L'apparire per certi versi sempre uguale a se stesso è il risultato di una profonda fedeltà a se stesso.
Se il primo singolo tratto dall'album, "I'm Throwing My Arms Around Paris", è un classico numero à-la Morrissey, in questo caso straordinariamente impreziosito dalla soave e delicatissima tromba di Mark Isham (che suona i fiati anche in altri due brani), il trittico iniziale con la fulminante "Something Is Squeezing My Skull", "Mama Lay Softly On The Riverbed" e "Black Cloud" (a sua volta sottolineata dalla chitarra di Jeff Beck) è composto da pezzi rock che non sfigurerebbero in alcuno dei lavori di artisti con la metà degli anni del nostro. L'esuberanza e l'impronta decisamente chitarristica, che si ritrovano anche nel già menzionato singolo "All You Need Is Me" e nello straordinario inno al solipsismo "I'm Ok By Myself" ("Could this be an arm around my waist?/ Well, surely the hand contains a knife/ It's been so all of my life/ Why change now? - "It hasn't!"/ Now this might surprise you, but I find I'm OK by myself/ And I don't need you/Or your morality to save me") sono certamente dovute alla circostanza che tutte le musiche dell'album sono state composte dai chitarristi della band che da anni lo accompagna (con la recente introduzione di Jesse Tobias), ma è chiaramente la ritrovata freschezza di Morrissey a fare da catalizzatore e a indicare la via da seguire. E non è affatto un caso che il climax dell'album si raggiunga nella seconda parte della scaletta dove l'esuberanza e la ruvidezza si amalgamano e compenetrano con la classe e l'acume di un artista navigato.
Ne nascono brani passionali e profondamente sentiti: "It's Not Your Birthday Anymore", che esordisce come una dolce ballata, ma ben presto si trasforma in uno dei brani più duri e arrabbiati del lotto e dell'intera carriera di Morrissey ("Did you really think we meant/ All those syrupy sentimental things that we said yesterday?") e, su tutti, "You Were Good In Your Time", unica vera e propria ballad dell'album e suo vertice emotivo, che racconta del declino di un artista di successo e della fine di una carriera, tema tanto caro a Morrissey sin dai tempi degli Smiths ("Rubber Ring" e "Paint A Vulgar Picture"). Un brano come questo, scritto e cantato da un'icona della musica popolare nell'anno del proprio cinquantesimo genetliaco, non può che essere considerato sarcasticamente autobiografico ("You made me feel less alone/ You made me feel not quite so/ Deformed, uninformed and hunchbacked/ Time takes all breath away/ You were good in your time/ And we thank you so, so..."), ma quando il nostro canta: "An end-of-the-ride sigh/ Your soft smile says/ Please understand, I must surrender/ Then you grip with your hand/ Now so sworn in mine/Are you aware wherever you are/ That you have just died?", si può essere certi che Morrissey non abbia alcuna intenzione di riferirsi a stesso, ma a ciò che sarebbe potuto accadere, e che non è (per ora) stato.
Ben lungi dall'arrendersi, l'artista mancuniano si dimostra combattivo, sicuro di sé e ispirato e sforna, con "Years Of Refusal", uno dei suoi album più vitali e degni di attenzione.
22/02/2009