Alla fine, David Thomas ha deciso di confrontarsi con l’opera di Alfred Jarry, l’artista da cui, circa trent’anni fa, prese ispirazione per battezzare i suoi Pere Ubu. Accompagnato dal radio-drama “Bring Me the Head of Ubu Roi”, “Long Live Père Ubu” è, così, un disco in cui la dimensione musicale va necessariamente a braccetto con quella teatrale, come dimostra, in primis, lo “sdoppiamento vocale” tra l’omone di Cleveland e la cantante soul-jazz Sarah Jane Morris.
Con un plot narrativo derivato naturalmente dall’opera dello scrittore-drammaturgo d’Oltralpe, la nuova opera della band americana (della cui leggendaria line-up è rimasto, ormai, solo Thomas) ha sicuramente dalla sua il fascino di un incontro per troppo tempo rinviato, ma, musicalmente parlando, spiace evidenziare una certa carenza di ispirazione, un navigare a vista che mai tenta davvero di lanciarsi in mare aperto. Aspettarsi il meglio da una formazione come questa viene quasi naturale. Accontentarsi, a dirla tutta, significa solo fare un affronto alla sua straordinaria carriera.
Accanto a numeri più corposi (il quasi hard-rock di “Road To Reason” e la verve nerboruta di “Watching The Pigeons”), trovano posto composizioni in cui il taglio drammaturgico dell’operazione è in bella mostra, a cominciare dalle voci che si passano il testimone, come in una sorta di musical dell’assurdo, di “Song Of The Grocery Police” e "Bring Me The Head”.
Ma la musica – si prenda, per esempio, “Banquet Of The Butcher” - si distende quasi sempre abulica, infetta (ma questa volta, non è un complimento...), quasi una versione de-potenziata di quella che, “appena” trent’anni fa, aveva messo a soqquadro l’underground americano (gli stessi ghirigori di synth, per dire, dimostrano che il tempo è passato e non si può sempre vivere di rendita).
Manca, insomma, una controparte sonora capace di “assecondare” ma anche di completare e, perché no?, illuminare la narrazione vocale dell’asse Thomas/Morris. Numeri come “March Of Greed” (che fa visita ai Residents più grotteschi), “Slowly I Turn”, la lunga apnea noir-jazz di“The Story So Far” e “Big Sombrero (Love Theme)” (che sembrano strane rivisitazioni del corpus Waits-iano, con tracce di Birthday Party strafatti di valium sull’ultima) ci dicono di una formazione cui quella sintesi tra musica e parole, che ci si aspetterebbe in un’opera del genere, è riuscita solo in parte. Un passo falso, insomma.
E, di certo, non lo diciamo a cuor leggero...
07/09/2009