Come dice bene in un suo articolo (reperibile con il titolo "Figli Di Madre Natura" nel volume antologico "Hip-Hop-Rock", meritevolmente edito qualche tempo fa da Isbn) il sempre perspicace Simon Reynolds, i dischi di Ariel Pink danno quasi sempre la bizzarra sensazione di ascoltare il palinsesto bruciacchiato e gracchiante di una radiolina mainstream che risuona dal fondo incrostato di una qualche piscina americana: bollicine di suono sfatto e gorgogliante che vanno a ricomporre l'immagine sfranta di un mutevole trash-pop in infima fedeltà. Una musica-fantasma, per così dire, che si riplasma e contorce, a metà tra il sogno e la rimembranza, in un'estasi totalizzante di forme bislacche, fino a risalire in superficie ed evaporare nel puro nulla di un artificio volatilizzato.
One-man band per antonomasia, Ariel Pink (al secolo Ariel Marcus Rosenberg, losangelino, classe 1978) approda finalmente a un marchio discografico di tradizione e risonanza internazionale come l'insospettabile 4AD, dopo anni di relativamente gloriosa militanza nella Paw Tracks del Collettivo Animale (che per i suoi innumerevoli nastri casalinghi - oltre cinquecento pezzi registrati! - perse letteralmente la testa, editando parte dell'elefantico materiale accumulato dal nostro nel corso degli anni).
Il compositore californiano allestisce così un barocco pastiche di camaleontico mimetismo para-zappiano, all'insegna di un bubblegum-pop filante e appiccicoso, infarcito di melodie glassate usa e getta, teso fra Joe Meek, Prince, i Fleetwood Mac e Phil Spector perso in una discarica di plastiche sonore usurate dal più strenuo consumo.
Con il suo approccio dadaista e mutaforma, nutrito di arte povera ed enciclopedico ingegno, Ariel Pink finisce con il controfirmare (e ogni volta con grafia differente, iperbole del più labirintico inganno falsificatore) un signor disco pop, ipnotico e ubriacante, pieno di schitarrate beatamente tamarre (come quelle di "Butt-Houes Blondies" o "Little Wig") ma anche di ineffabili raffinatezze poetiche e arditi preziosismi formali, in bilico tra soul d'accatto e neo-operismo psych-pop (ascoltate le trame vocali di pezzi come "Round Round", "Beverly Kills", "Can't Hear My Eyes" o di "Bright Lit Blue Skye", cover di un pezzo dei Rockin' Ramrods del 1966, per non parlare poi della psichedelia in odore di prog di "L'estat...").
Sempre indeciso tra caricatura ellittica e la pura estasi moltiplicatrice dell'imitazione stilizzata, "Before Today" annuncia su scala planetaria, con le sue sottilissime allegorie semiserie, l'ascesa di un nuovo messia del miracolo-truffa del pop, un po' Houdini, un po' Arcimboldo, un po' (anzi molto!) Todd Rundgren, maestro del bricolage fai da te e cervellotico dispensatore di enigmi circolari senza soluzione.
Uno, nessuno e centomila.
09/06/2010