Alla seconda, ponderatissima prova (pure ritardata da impacci burocratici e contrattuali), il duo Feldmann composto Tazio Iacobacci e Massimo Ferrarotto, entrambi siciliani, entrambi ex-batteristi, e entrambi già musicisti con dei buoni curricula alle spalle, arriva a dare un più che degno seguito a “Watering Trees”.
Uno spirito profondamente desert-music corona senza indugi l’intera opera, avvicinando la finta semplicità alla naturalezza (“Then She Came”, “Share Your Time”), in un vasto miglioramento dei Franklin Delano americanisti di “Come Home”. "Then She Came" è un duetto Mark Lanegan-iano che annuncia pochi, semplici e oscuri motti, e quindi si trasfigura in soundscape slowcore alla Talk Talk ("The Rainbow") e persino in un siparietto vocale d'avanguardia. Dopo questo brano manifesto, il country crepuscolare (infiorettato da colpi e tremori) di "In The Water" traghetta al lungo salmo apatico di "Share Your Time", con assolo immaginifico e strofa ripetuta ad libitum. Più ancora ardite, e a un soffio dallo squilibrio, sono"Miss I Don’t Care" (rifrazioni acquatiche, danza quieta, sordina stile Nick Drake e spirito post-rock) e "Love And Anger" (una piece Waits-iana nel ritmo e Sonic Youth-iana nell'armonia), una lezioncina su come scomporre e ricomporre la ballata sudista.
Lo stesso vale per le piacevolezze cantabili di “Hour Of Need”, un momento di "religiosità" noir, "Can’t Stay Together", l'apice ipnotico del disco (tra elettronica ribollente e vocals psichedeliche), per l'apologo meditativo di "Pablo", e per il regalino pop di chiusa, "This City".
Le rielaborazioni fantastiche di “Will You?”, al contempo la più fantasmagorica e la più ossessionante piece della raccolta, della trascendentale "Nobody Knows The Truth" e di "Handle Me" - i cui giochi di slide a mo' di drone, gli arpeggi distanti e il corredo di manipolazioni acustiche - distraggono di quel tanto dalla forma-canzone, non valgono quanto gli episodi più scriccioli di raccordo (ingiustamente non indicati nella tracklist).
Piccolo gioiello di avvincente tortuosità, disposto a sacrificare l’istintività del debutto per sciacquare catarticamente le ultime scorie di pressappochismo, prodotto da Hugo Race e masterizzato dal factotum Tazio Iacobacci (anche al picchiettio appartato, e persino erudito nel riscoprire strumenti polverosi come l’harmonium); seconda voce di Marta Collica, artwork di Laura D’Agate.
10/03/2010