Franklin Delano

Come Home

2006 (Ghost)
roots-pop, alt-country

I Franklin Delano, base a Bologna, sono inizialmente formati da Paolo Iocca (voce e chitarra acustica), Marcella Riccardi (seconda voce e chitarra già in Massimo Volume, Marsela, La Spina, Minimo Volume e pure “Infrantumi” degli Starfuckers) e da Marcella Burattini (batteria storica dei Massimo Volume).
Le lunghe, involute, sonnolente meditazioni del loro primo “All My Senses Are Senseless Today” (Zahr, 2004), per quanto debitrici di Slint, June Of 44 e degli stessi Massimo Volume, sono nuovi colossi del rock italico.
Like A Smoking Gun In Front Of Me” (Madcap, 2005) tende a maggiore accessibilità e pone tocchi di Wilco, Grant Lee Buffalo, desert rock e Califone, e annovera gioielli come la coda di “Please Remember Me” (susseguirsi di accordi paradisiaci che muta in distorsione satanica fino a frantumarsi sotto i colpi della Burattini) e di “Call It A Day” (un drone laser che inghiotte la canzone e la trasforma in pura radiazione nel giro di tre minuti), oltre a una nuova versione della lenta autoflagellazione di “Your Perfect Skin Lines”, come episodi di personalità creativa in divenire.

Con “Come Home” i Franklin Delano ricominciano daccapo.
Di nuovo con Brian Deck (già Red Red Meat e Califone, oltre che produttore di successo per Iron & Wine, Modest Mouse e collegati) - mago dei conguagli sonici della loro “Smoking Gun” - la band perde il fondamentale apporto della Burattini, e acquista Lucio Sagone dei Ronin alla batteria, Marcello Petruzzi dei Caboto al basso, Vittorio Demarin aka Father Murphy a violino e tastiere, e Michele Sarti a percussioni e glockenspiel, oltre a una nutrita serie di partecipazioni esterne.
L’album nel caso migliore suona come un edulcorato diario di viaggio (conseguente al tour americano del 2005) basato su un country-roots melodico e bonario, pure distante dalle desertificazioni dei due album precedenti.
“Dead Racoon”, la traccia più emblematica, attacca con arpeggio doo-wop e chiude in modo vagamente corale à la tardi Jackie O-Motherfucker (così come la chiusa vera e propria, l’inno zuccheroso di “No Man’s Land”).
“I Am A Cow” è una ballatona country che si circonda di chitarra, fiddle in piena regola traditional, percussioni e organetto.
“Eight Eyes” è una canzone generica mascherata da desert-blues (vagamente presente nell’ intro ) con contrappunto di chitarra.
La chitarra della Riccardi è anzi protagonista nel riff a due di “Your Demons”, e nella sua continua decorazione che attraversa chorus armonizzati, crepitii distorti e marcette para-orchestrali.
“Scalise” è la melodia migliore (su basso r’n’b) e “Motel Room” dischiude soundscape noise (quasi l’Earth di “Hex”), chitarra in dissolvenza, contorni fatati, canto loser e chiusa ardita a base di sfacelo free-rock. Con “I Know My Way” tra impostazione Motorpsycho e ottoni philly, si ritorna all’imbarazzo stilistico (Tin Pan Alley o Elephant6?), e con lo scialbo rodeo di “Night Train” (pur nel suo scimmiottare i Creedence di “Ramble Tamble”) e il nuovo passo doo-wop di “Unaware” si lambisce persino l’anonimato.

Escluse “Your Demons”, piccolo esempio di aggiornamento roots, e l’intro sospesa di “Motel Room”, non è chiaro di chi sia quest’album.
Non dei Franklin Delano, ridotti a una coppia Iocca-Riccardi quasi sanremese (nei due dischi precedenti era la band ad annullare le canzoni, qui avviene il contrario); non dell’ingombrante produzione di Deck che pare un rientro pomeridiano per i più duri di comprendonio (ebbene sì, c’è proprio lui alla regia!); non degli ospiti, tanti, troppi, e talvolta poco opportuni (interni o esterni che siano); non dell’ascoltatore, ammesso che non ci sia di mezzo un certo gusto sadico per le minestre riscaldate.
Emancipazione e cosmopolitismo sono concetti leggermente diversi.

30/10/2006

Tracklist

  1. Come Home
  2. Your Demons
  3. Eight Eyes
  4. Dead Racoon
  5. I Know My Way
  6. I Am A Cow
  7. Motel Room
  8. Night Train
  9. Unaware
  10. Scalise
  11. No Man’s Land

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