Il carro a vapore canadese non smette di stantuffare, una carovana manovrata in realtà da poche, esperte mani. Tra queste vi sono quelle di Carey Mercer, giovane di stirpe cadetta che, pur rilucendo di riflesso per le varie compartecipazioni (anche all'interno degli stessi Frog Eyes) con Spencer Krug e Daniel Behar, si propone qui unico frontman del gruppo. Ci piacerebbe potervi raccontare della riscossa del figlio di un dio minore, della tanto attesa rivincita sui mostri bicefali che lo accompagnano da sempre: è con un certo imbarazzo che, invece, tocca constatare l'involuzione del progetto.
Va detto che gli ingredienti dell'epopea canadese, in particolare della sua faccia krughiana (le furiose pestate pianistiche di quest'ultimo sono una costante eco nel disco), rimangono ben rappresentati in questo "Paul's Tomb: A Triumph". Predicazioni magniloquenti, imprendibili ellissi chitarristiche, enfasi vocale ai limiti dell'isteria, rimbombi ritmici... Beh, di tutto questo ambaradan dall'indiscusso fascino (o, perlomeno così era fino a poco tempo fa) va segnalato che non rimane una traccia così tangibile, se si esclude l'ostinazione di Mercer. Che il vessillo canadese non garrisca più così baldanzoso lo si comprende dalla raddrizzata operata dallo stesso Krug al proprio estro compositivo, alla relativa normalizzazione caratterizzante il suo "Dragonslayer" e dai nuovi paesaggi sonori esplorati da lui e da Behar, per ricomporre virtualmente il trio.
Carey Mercer pare invece non avere, tra le sue carte, la flessibilità, la visione necessaria a correggere la rotta: lo troviamo ancora al suo solito speaker's corner, a strabuzzare gli occhi in pezzi torrenziali, processioni imponenti come l'iniziale "A Flower In A Glove", tra riffoni slabbrati e grandiosi silenzi. In nove minuti si assiste comunque a qualcosa di sostanzialmente compiuto, che lascia ben sperare; una sensazione che si disintegra, però, con l'andare del tempo. Le canzoni di "Paul's Tomb: A Triumph", nella loro sistematica frammentazione, disegnano traiettorie volutamente in continua variazione, ma quasi sempre sghembe.
La capziosità di pezzi come "Styled By Dr.Robert", "Odetta's War" rende così vacillante quella epica costruzione che costituisce uno dei cardini del "genere", se così si può chiamare: un faticoso arrancare in continuo sfaldamento. Così gli incalzanti approcci pop di "Rebel Horns" e "Lear In Love" si trasformano in impotenti dimenarsi, dei quali seguire il filo diventa drammaticamente spossante.
In fin dei conti "Paul's Tomb: A Triumph" mostra, sotto la maschera di "mobile" prodotto d'arte, una paurosa aderenza a certi stilemi, che pare vengano prima delle canzoni stesse. Col senno di poi pare però che tanta fedeltà alla nave e all'equipaggio abbia fruttato solo un vascello deserto e alla deriva e, come unica opportunità, quella di legarsi stretto al timone sperando di incappare in qualcosa di, se non abitato, perlomeno fertile...
10/05/2010