Il trio Majakovich si presenta con la stravaganza tipica del giovane
underground italiano, deciso a suonare la propria musica senza pensarci troppo
su, evitando di avvoltolarsi nella melanconia indie o in presuntuosi voli
pindarici di parole. Il riferimento fondamentale del loro primo full lenght è il nervosismo post-hardcore
dei primi anni 90, ma spontaneamente aggiornato ai più sincopati Duemila: la
chitarra albiniana
è asciutta e precisa, sulla scia dei battiti in sezione ritmica - non esenti da
un mai esuberante retrogusto math -
per una tripletta iniziale al fulmicotone; di quegli anni inquieti sopravvive
anche la rock ballad in stile Faith
No More ("Leonard's Smile Part Two", "Haran Banjo Is a Fanatic Guy"), anche
se poco in linea con il tono generalmente goliardico della tracklist.
Immancabile la ghost track a pié di
spartito, dopo appena mezz'ora di rinfrancante rock nostrano, libero una volta
tanto da inutili emulazioni passatiste. Il punto di forza di questo spigliato terzetto
è la sua personale urgenza espressiva, una voglia sincera di buttarsi sul e dal
palco - tale da distrarre riguardo ai testi un po' fuori fuoco, forse
volutamente frammentari, scritti e cantati in un inglese masticato maluccio. Al
momento è tutto ciò che ci serve, più o meno.
07/01/2011