Il ritorno dei Posies è una salutare boccata di aria fresca per il pop-rock americano, nella quale la graffiante rilettura dell’Inghilterra post-Beatles e le inflessioni surf e psichedeliche del gruppo garantiscono una buona sequenza di vivaci ed essenziali popsong.
Jon Auer e Ken Stringfellows, i due leader storici del gruppo, sembravano aspirare al titolo di Hall & Oates dell’indie-pop, ma la continua frammentazione progettuale ha spinto verso l’oblio il gruppo, nonostante l’entusiasmo di critici e fans e alcuni album pregevoli come “Frosting On The Beater” e “Dear 23” (due album che ancora godono di uno status di culto).
Al pari delgli Xtc, i Posies sono artefici di un perfect-pop capace di ricevere stimoli variegati e amalgamarli in una forma volatile e mai futile.
Il nuovo album “Blood/Candy” denuncia già nel doppio titolo una anima duplice e bivalente: pop leggero e radiofonico, con ospiti illustri, nella prima metà dell’album, ambiziose architetture dai toni barocchi ed eleganti nel resto delle tracce.
In verità, la prima parte dell’album sembra scorrere senza emozioni notevoli: la sola “Glittering Prize” cattura subito l’attenzione, rinnovando i fasti del pop Rem-oriented con un trascinante suono on the road e un flusso melodico e ritmico coinvolgente e passionale.
I Posies osano ancora innaffiare il pop con ironia, evocando I Queen di “Bohemian Rhapsody” e gli Electric Light Orchestra nel patchwork leggermente provocatorio di “Licenses To Hide” (con Lisa Lobsinger dei Broken Social Scene).
L’iniziale “Plastic Paperbacks” non brilla particolarmente e il contributo vocale di Hugh Cornwell degli Stranglers risulta del tutto inutile, la melodia non trova sbocco e finisce per perdersi in soluzioni sonore estetiche; ma si tratta dell’unico momento debole del disco. “Take Care Of Yourself “ e ”Cleopatra Street” strappano più di un sorriso e conservano un discreto fascino citazionista con arrangiamenti mai eccessivi.
“Blood/Candy”, non è un album privo di elementi di novità per i Posies, e anche se Brian Wilson e Alex Chilton restano i punti di partenza per il loro sound, in verità l’eccessivo amore per i Beach Boys non sempre convince; e se “Enewetak” supera con fascino lo scoglio della leziosità, incrociando l’arte del country-rock, “So Caroline” (una citazione di “Caroline No”) resta al palo e non entusiasma.
Spetta a “For The Ashes”, ballata pianistica ricca di sonorità sixties, elevare di nuovo il corpo lirico dell’album sfidando la prevedibilità del pop melanconico: il brano apre le porte alla più innovativa e interessante traccia dell’album “Accidental Architecture”, un pop barocco e variopinto, dalle continue frammentazioni armoniche, che accantona il tono frizzante per soluzioni più ardite che rimandano alla carriera solista di Ken Stringfellows, il gruppo racconta un immaginario incontro tra Leonard Bernstein e Brian Wilson, e il frutto generato è un trionfo dell’immaginazione.
Una sequenza di brani pregevoli riequilibra l’insieme dell’album, donando luce nuova anche alle canzoni iniziali; notevole “She's Coming Down Again!”, un pop-rock dal riff memorabile e dalle trascinanti soluzioni armoniche, entusiasmante “Notion 99” - una celebrazione della psichedelia americana che incrocia Byrds, Blue Oyster Cult e Rem - pop-soul irresistibile per “Holiday Hours”, elegante e originale ballata mid-tempo con soluzioni acustico-vocali pregevoli e avventurose, che riecheggiano le prime avventure sonore degli Scritti Politti.
“Blood/Candy” è un album destinato a soddisfare i vecchi fans del gruppo, ma il destino dei Posies sembra quello di restare una cult-band come gli Squeeze: un vero peccato, soprattutto perché il loro settimo album è il più completo e vario mai realizzato e “For The Ashes” una delle canzoni destinate a far parte di ogni compilation delle migliori popsong dell’anno.
06/11/2010