Capita che ci siano momenti in cui il ricordo di una situazione sia legato a un luogo e nel rammentare una giornata lì trascorsa, l'istante in cui abbiamo fotografato una parte di quello che oggi contribuisce a mantenere stabile il ricordo possa, debba, diventare musica. Mi è capitato spesso e mi capita ancora con "Dies Irae", album del felice esordio discografico per il duo italiano degli Atrium Animae. Una giornata di tepore nell'agosto normanno, una passeggiata presso le rovine romantiche di Jumièges, costeggiando la Senna ormai morente, verso il mare. Quelle rovine sono la parte malinconica, quasi fantastica di una parte di Francia dove il gotico ha valore architettonico. L'accoglienza del sito ha la parvenza dell'ingresso in una città di fantasia dove un oscuro maleficio ne ha devastato la purezza, perché il gotico, anche oscuro, cerca la purezza, mai la malvagia essenza, cerca il Divino mai il Demone, cerca la luce per dare valore al buio.
Le sette tracce di "Dies Irae" sono un po' tutto ciò: la ricerca del Divino partendo dal sepolcro, della vita nel baciare la morte e un Dio pronto a cullare le proprie anime se l'amore per la sua energia, la devozione è felice nell'omaggio con la forma di architettura più difficile mai inventata, la musica.
L'apparenza inganna e se il primo approccio con la musica degli Atrium Animae ispira alle dedizioni arcaico-religiose dei primi Dead Can Dance (Massimiliano Picconi, oltre a essere un ottimo compositore, cura anche il sito italiano della band fondata da Brendan Perry), quando il suono era impregnato di timore e cupo assetto sonoro.
E' un background importante, ma in generale "Dies Irae" ha altri piccoli aspetti differenti, nordici nell'evocare il darkfolk classicheggiante dei Dargaard o la purezza mistica e pagana dei Garmarna, soprattutto quando il tamburo, sordo, scandisce tempi d'apocalisse annunciata, fatale, come in "Psalmus 57", sfumata in piccole variabili ritmiche che chiedono e ottengono in "Rex Gloriae" fiati aperti, luci nuove per non morire subito nell'Oltretomba sonoro. Bellissimo il duetto vocale in questo brano che ora davvero ha la forza evocativa dei Dead Can Dance di "Spleen An Ideal" o dei primi lavori degli Arcana.
La voce maschile è quasi monastica, l'orchestrazione ha i sapori dell'Ars antiqua del primo Medioevo, ancora religiosamente schiavo del dogma punitivo qui esaltato dalle tastiere cupe, minacce reali di un'anima morente, da curare. Eterea Alessia Cicala in "Psalmus 87", tra archi pizzicati ed estasi in ammirazione, un brano che è una porta verso mondi ultraterreni, volendo fantastici, e in ciò, in questa veste leggermente fairy, c'è una sorta di complice affinità con Lugburz, uno dei tanti volti dell'immenso Sathorys Elenorth. Soprattutto nella successiva "Lacrimosa Dies", con il suo ritmo più sostenuto.
La musica è il tramite per un pellegrinaggio verso fonti ignote e la meta è la settima, conclusiva traccia "Angelum Abyssi", lenta nel condurci fuori dal tempio, forse dalla grotta, sicuramente l'unica certezza concessa è la possibilità di riascoltare ancora e ancora "Dies Irae" per carpirne ogni piccola nota, ogni piccolo aspetto di complessa opera composta da due ragazzi che, come quando la Divinità omaggiata è appagata, si trovano alla corte di una label importante, stabile, generosa come Projekt.
11/06/2011