Tra gli innumerevoli "figli illegittimi" degli immensi Dead Can Dance, gli svedesi Arcana di Peter Pettersson (arrangiatore, strumentista e cantante) sono indubbiamente da includere nel novero dei più dotati e raffinati rappresentanti di quel sound che sposa atmosfere gotiche, suggestioni medievali e lieder di austera e neoclassica bellezza.
Nel 1993 Petterson, che sarà successivamente noto come Peter Bjärgö, dà vita al progetto, ma avverte subito l'esigenza di una voce femminile per esprimere al meglio le sue partiture "celestiali". Viene così ingaggiata Ida Bengtsson, cantante dal registro tipicamente "dark", che diventa una sorta di equivalente scandinavo della Tara Vanflower dei Lycia.
Gli Arcana debuttano per l'etichetta Cold Meat Industry con il brano "And Even Wolves Hid Their Teeth", che fa da preludio all'uscita, datata 1996, dell'album Dark Age Of Reason. Il tema dominante è un'atmosfera cupa e medievale, dai toni magniloquenti, in cui si alternano ad arte la voce grave di Petterson e quella celestiale di Ida Bengtsson. Tamburi marziali, cori polifonici, campane a morto diventano i segni distintivi di un sound che si situa a metà strada tra i Dead Can Dance e gli In The Nursery. Notevoli anche gli arrangiamenti, che combinano la freddezza futurista delle tastiere con il pathos "arcaico" di oboe, clarinetto, pianoforte e percussioni.
"Our God Weeps" è un inno solenne, scandito da rulli marziali di tamburi e avvolto in un tappeto di gelide tastiere. "Angel of Sorrow" si apre su cadenze da tragedia imminente, per lasciare spazio a una nenia da brivido intonata di Ida Bengtsson in un registro spettrale e distaccato. "Source of Light" accentua i cori polifonici e la tensione drammatica delle tastiere, che si fanno sempre più incalzanti. "The Calm Before The Storm" è un altro esercizio di elettronica "neoclassica", a metà strada tra Love Is Colder Than Death ed Enya. La title track, interamente strumentale, si dipana lungo sette minuti di sonorità rarefatte e suggestioni medievali, con un coro minaccioso in lontananza. "Serenity", scandita da cupi rintocchi di tastiere, si scioglie progressivamente in un incedere sinuoso e romantico. "For My Love" è immersa in un clima decadente e claustrofobico, catastrofico e mistico. "The Song Of Mourning" è una litania malinconica a due voci accompagnata da un crescendo imponente di percussioni, clavicembalo e tastiere. Più che canzoni, sono cattedrali sonore, costruite su un clima da thriller, ma al tempo stesso capaci di donare quasi un senso di quiete ultraterrena. "Non mi considero una persona religiosa - spiega Petterson - ma neanche un ateo. Non mi convince la concezione 'acritica' della cristianità dietro la quale molte persone si nascondono, indottrinando i loro figli in base ai precetti di un libro scritto duemila anni fa. Vorrei che ognuno potesse sviluppare una propria religiosità".
Dark Age Of Reason riceve un'ottima accoglienza da parte della critica internazionale e frutta agli Arcana una certa popolarità nella nicchia "gothic" della scena indipendente. Popolarità alimentata dalle esibizioni della band, sempre teatrali e suggestive, come quella al "Vampyria" di Reggio Emilia, con scenografie fatte di candelabri e grandi drappi neri alle pareti decorati da immagini medievali e al centro, enorme, il nome del gruppo in caratteri gotici.
Un anno più tardi, il secondo album, Cantar de Procella, conferma l'abilità del duo nel muoversi lungo i sentieri di quell'ambient-gothic oggi sempre più in voga, sia in Europa (Aurora, Love Is Colder Than Death) sia negli Stati Uniti (Black Tape For A Blue Girl, Lycia). La formula di base è quella dei Dead Can Dance, ricordata anche dall'assetto a due (uomo-donna) della line-up. Un'impronta che Petterson non esita a riconoscere: "I Dead Can Dance sono stati molto importanti per me, direi determinanti nelle mie scelte musicali. Sono stati forse la prima band a riflettere almeno al 90 per cento la mia idea di musica, volta al Medioevo e a certa Classica". La peculiarità degli Arcana è nella rielaborazione delle ambientazioni "sepolcrali" in arrangiamenti non prevedibili, anche grazie a passaggi di clavicembalo, all'uso accorto della voce femminile e ad arditi cori polifonici.
Il disco propone un pugno di dolci ballate a lume di candela, che alternano le tonalità oscure a rari squarci di sole, inducendo sempre più all'estasi che al terrore. A crescere è soprattutto la dimensione religiosa della loro musica. "The Opening of the Wound" è forse il brano che più di tutti funge da trait d'union tra vecchio e nuovo corso. Gli arrangiamenti si fanno più vari e dinamici: melodie cicliche di arpa e chitarra acustica fanno da sfondo alle canzoni. Ma sono soprattutto voci e cori i veri strumenti attorno ai quali scorrono i brani. "The Opening of the Wound" apre il disco nel segno di un romanticismo epico.
La fatale "Chant of the Awakening" conduce a passo di marcia in un viaggio tortuoso che approda al canto a cappella di "The Song Of Solitude (The Cry of Isolde)", interpretato da Bengtsson con registro tetro e disperato. "Void of Silence" sfuma delicatamente in "Cantar de Procella" in cui Petterson sostiene con un semplice riff di arpa i vocalizzi della cantante. I cori femminili di "Aeterna Doloris" lasciano spazio a quelli maschili di "The Song of Preparation", accentuando il pathos. A riportare un senso di quiete è "God of the Winds", mentre "The Dreams Made of Sand" e "La Salva de Profundis" ricorrono allo stesso espediente: una esile melodia che cresce facendosi via via più maestosa. Con "Gathering of the Storm" gli Arcana approdano nel terreno della musica neoclassica, senza rinunciare a un'aura medievale che sa tanto di Dead Can Dance. "The Tree Within", con i suoi archi itineranti ad assecondare il canto di Bengtsson, conclude l'opera nel segno di quella quiete mistica che ne è, in definitiva, il tratto dominante.
La formula cupa degli esordi viene ulteriormente stemperata nei singoli "Lizabeth" e "Isabel", mentre il terzo capitolo della saga del duo, ...The Last Embrace (1999) rievoca le atmosfere medievali di Dark Age Of Reason, ma senza più raggiungere quei vertici espressivi. Le melodie arcaiche del passato cedono il passo a marce serrate, con la voce dolente di Pettersson e quella angelica di Bengtsson a declamare mantra di maestosità quasi religiosa. Ma arie gravi come "Diadema" e inni pomposi come "Winds of the Lost Soul" e "March of Loss" compromettono in parte quell'aura cristallina che era stata il marchio di fabbrica del duo svedese, ed è semmai l'ode romantica di "Love Eternal" a recuperare lo spirito più autentico della loro musica. Già al terzo album, il progetto pare diretto ad arenarsi sulle scogliere del suo stesso sound: la principale causa pare essere l'inseguimento ad un ipotetico bis del primo album, basato però su cicliche variazioni di una formula satura già in principio.
Dopo l'uscita dell'album, la Bengtsson abbandona il progetto e Pettersson fonda i Sophia realizzando tre album: l'omonimo Sophia, Herbstwerk e Spite. Rispetto al gotico sinfonico degli Arcana, la musica si fa più marziale e industriale, ma nonostante l'indubbio fascino la formula comincia a mostrare la corda, esagerando in magniloquenza e autoindulgenza.
Il ritorno discografico degli Arcana è datato 2002: senza più la Bengtsson, sostituita da Ann-Mari Thin, a cesellare armonie vocali di rara suggestione, con Inner Pale Sun, Petterson cerca di rinverdire i fasti del loro esordio, semplificando però ulteriormente la forma, portando tutto in una dimensione ancor più timida e fragile rispetto al passato. Non è sufficiente nemmeno l'arruolamento di Stefan Erikkson, a cui viene affidata quasi in toto la gestione delle tastiere: gli otto quadretti idilliaci di questo album però non hanno quasi mai la forza per volare alle altezze oniriche che ci si aspetterebbe, accontentandosi invece di scorrere con tranquillità ed eleganza nelle loro delicate armonie.
Alla fine, pur tra momenti di innegabile suggestione (specie nel singolo "We Rise Above" e in "Innocent Child") e il prevedibile saliscendi di atmosfere ora eteree e sognanti, ora cupamente "gotiche", il lavoro risulta al massimo diligentemente derivativo dei maestri del genere (e "Song Of The Dead Sun" è null'altro che una stucchevole imitazione dei soliti Dead Can Dance), oltre che autoreferenziale. Ma Pettersson ha ormai il fiato troppo corto per poter pensare di superare indenne il confronto con il passato (anche e soprattutto il suo), e non bastano certo l'innegabile mestiere, le atmosfere sognanti e maestose, condite da un generale ridimensionamento delle ambizioni, a bilanciare la mancanza di vera ispirazione.
Dal 2003 arriva a rinforzare l'organico del gruppo anche Cecilia Bjärgö, da poco moglie del leader Peter, che assumerà da allora il cognome della donna. Nel 2005 Le Serpent Rouge segna una svolta sorprendente nella carriera della band. Una svolta che in definitiva non fa che rimarcare il pesante debito del musicista svedese nei confronti dei maestri Dead Can Dance. Per intenderci, Le Serpent Rouge sta alla carriera degli Arcana come "Spiritchaser" sta(va) a quella dei Dead Can Dance. E dunque suggestioni etniche e notti stellate in pieno deserto, più che cupe sinfonie gotiche. Si tratta forse del primo, vero tentativo di abbandonare i clichés portati avanti nei precedenti lavori, di dare una sterzata affinché il progetto non corra il rischio di affondare definitivamente in un vuoto creativo. E così eccoci di fronte a costruzioni sonore mai così prive di elementi elettronici, al trionfo di un'orchestra proveniente direttamente da un rito arcano e tribale, che si consuma nella danza madrigale della title track, nelle oscurità di "Cathar", nel madrigale "Amber" o nelle divagazioni forestali di "The Passage" e "The Niemesis". I "nuovi" Arcana perdono gran parte delle loro suggestioni e del loro stile, ma ne guadagnano in una sterzata che risulterà decisiva nella loro carriera: a partire da Le Serpent Rouge, infatti, le quotazioni della band riprenderanno ad alzarsi e la loro ricerca inizierà, finalmente, a muoversi su sentieri sempre più personali e distanti dagli algoritmi delle origini.
La band - passata nel frattempo a cinque elementi con gli ingressi anche del percussionista Mattias Borgh - affronta difficoltà e impedimenti che ne giustificano il prolungato silenzio. Accasatisi già da qualche tempo presso la delicata label tedesca Kalikaland (gestita da Harald Lowy dei Chandeen), gli Arcana si possono finalmente rimettere serenamente al lavoro e, perfezionisti, cesellano con cura maniacale il loro nuovo parto, la cui uscita viene rimandata per mesi.
Ed ecco dunque che con Raspail, gli Arcana riprendono nel 2008 le fila del loro discorso, proponendo un album che, dietro il manifesto di un ritorno al vecchio sound gotico, maschera un primo tentativo di variare la formula stessa. Dopo la sbornia world del precedente lavoro, Peter e compagni tornano sui propri passi, facendo un uso assai più moderato di strumenti e percussioni etniche e rispolverando lussureggianti arrangiamenti e intrecci lirici e canori. Il risultato è un album che rimastica territori già consumati, apparentemente prevedibile in ogni suo - piacevolissimo - momento, ma in realtà premonitore di un roseo futuro. Suonano dunque come echi del passato la lirica ouverture di "Abrakt", il gothic puro di "Parisal", la magniloquente desolazione di "Lost In Time" e la sinistra marcia Perryana di "Outside Your World". Ma, quasi nascoste, ecco apparire anche le prime avvisaglie della futura, completa ripresa artistica: nelle gocce pianistiche di "In Remembrance", nella placida quiete di "Sighs Of Relief", nel genuino incedere di "Invisible Motions" e nella rarefazione ambientale di "Circumspection" si respira un'aria nuova, non volta a condurre verso una rivoluzione sonora ma piuttosto verso una nuova tipologia di concezione artistica: la precedenza della scrittura sull'arrangiamento, del songwriting diretto sul cliché. Scintillanti e raffinati come da costume gli Arcana tornano a credere in un suono che loro stessi sembravano voler abbandonare, un suono che sempre meno va di moda, anche negli ambienti dark.
Devono trascorrere cinque lunghi anni - dove l'uscita in limited edition del side-project Un Passage Silencieux non riesce a stemperare l'attesa - prima di assistere al folgorante ed atteso ritorno della band svedese. Il nuovo parto, datato 2012, s'intitola As Bright As A Thousand Suns, e segna il matrimonio tra il gruppo e l'etichetta Ciclic Law. Non si tratta, questa volta, di una svolta radicale come fu quella di Le Serpent Rouge, né di un'evoluzione degli stilemi di Raspail. A diversificare questo nuovo parto dai predecessori, sono piuttosto tre elementi: trattasi prima di tutto di un disco notevolmente più "diretto", meno ridondante e magniloquente, e più curato in fase compositiva. In secundis, è, forse per la prima volta, l'album di una one-man band più che di un'ensemble: Pettersson è come sempre leader compositivo, ma questa volta si issa anche e soprattutto a "direttore" dell'orchestra che egli stesso assembla. Terzo ma non meno importante aspetto è la natura mirabilmente eclettica che pervade ogni brano: la monocromia referenziale da sempre marchio di fabbrica della band scompare, e così i riferimenti sono i più svariati e vanno dai "soliti" Dead Can Dance ai già citati Black Tape, passando però anche per i capostipiti del dream (Cocteau Twins, Love Spirals Downwards), e per una certa matrice proto-industriale (Raison d'Être) ed etnica (Jon Hassel, Al Gromer Khan, Michael Brook). Così, parte dei brani tende a guardare nuovamente al radicale passato del gruppo, dove il gotico regna sovrano e l'ombra dei Dead Can Dance pervade la linfa sonora, sia che ciò avvenga in forma pura ("Leave Me Be") o tra echi arcaichi ("Medea"), mistici ("In Memoriam", "As The End Draws Near") o apocalittici ("The Fading Shadow"). Le vere "novità" arrivano però in altri episodi: l'iniziale sonata d'apertura "Somnolence", che pare tratta direttamente da un album dei Black Tape For A Blue Girl più minimali, la sognante "Inceptus", dolcissima melodia solcata da percussioni orientali, "Infinity", breve intermezzo ethno-industrial a cavallo fra Hassel, Spiritual Front e il connazionale Andersson e la conclusiva pennellata classicheggiante di "Vinter", in pieno stile Satie. A svettare con forza è anche la title track, oscura messa tribale ricoperta di nera pece memore dei Death In June più in forma.
A conti fatti, As Bright As A Thousand Suns è un disco il cui enorme fascino va ricondotto alla matrice di purezza che ne caratterizza il suono, alla coraggiosa scelta di Pettersson di rinunciare alla radicata adesione ai cliché del suo sound ed eliminare qualsiasi condizionamento nella scrittura dei brani: quel che ne esce è l'album più diretto e meno altisonante della loro intera discografia, nonché il migliore dai tempi di Dark Age Of Reason.
Dopo una carriera trascorsa in gran parte a ricalcare una stessa formula fino ad esasperarne ogni singolo suono, gli Arcana paiono aver voluto dare una scossa decisiva alla loro musica, smuovendosi finalmente dalle sabbie mobili in cui avevano finito per invischiarsi. Dopo averci offerto, quasi quindici anni orsono, uno dei capolavori del gothic nordico, sembrano essere finalmente pronti a tornare indiscussi protagonisti della scena dark-wave: ruolo che hanno dimostrato di avere le potenzialità per ricoprire al meglio.
Dark Age of Reason (Cold Meat Industry, 1996) | 8 | |
Cantar De Procella (Cold Meat Industry, 1997) | 6,5 | |
...The Last Embrace (Cold Meat Industry, 2000) | 5,5 | |
Inner Pale Sun (Cold Meat Industry, 2002) | 5 | |
The New Light (antologia, Erbus Odora/Cyclic Law, 2004) | ||
Le Serpent Rouge (Erebus Odora/Projekt, 2005) | 6 | |
Raspail (Kalikland/Projekt, 2008) | 6,5 | |
Un Passage Silenceux (Erebus Odora, 2011) | ||
As Bright As A Thousand Suns (Cyclic Law, 2012) | 7,5 |
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