Il gruppo articola una proposta molto raffinata e ricca di suggestivi riferimenti all’underground americano più illuminato. La voce acuta e trasfusa di fragranze soul di Lynch dipinge paesaggi emotivi dalla consistenza mutevole, che si snodano tra linee increspate di synth, geometrie poliritmiche spesso complesse e stucchi elettronici densi di livida atmosfera. Così il melodismo romantico (degno a tratti dei migliori Death Cub For Cutie) di “Black Hills” e “Star Fire Power” si diluisce nei torpori letargici di “Chemtrails” (in odor dei più recenti Beach House), transitando per capricci techno-pop come “Orange Blossom” o sontuosi idilli psych-pop che non dispiacerebbero a certi Grizzly Bear o Yeasayer (si consideri soprattutto “Sunday Morning”). Altrove la sofisticata levigatezza del dettato compositivo rievoca la patina neosoul delle produzioni più recenti di Antlers e Bon Iver.
La band dimostra insomma di aver preso parecchi appunti e di essersi scelta i maestri giusti, confezionando un lavoro godibile e sciolto che, nel mensile frastuono di uscite discografiche, si spera riesca a intercettare gli ascoltatori attenti che senza dubbio merita.
(19/08/2011)