"The Miners' Hymns" è la seconda colonna sonora consecutiva del compositore Jóhann Jóhannsson e segue di poco più di un anno la precedente "And In The Endless Pause There Came The Sound Of Bees".
Non è un caso che l'artista islandese abbia trovato nel binomio con le immagini una quasi naturale destinazione per la ricorrente grandiosità orchestrale delle sue composizioni, sovente ascrivibili all'abusata quanto calzante definizione di "colonne sonore per film immaginari".
In quest'occasione, però, l'operazione condotta da Jóhannsson è decisamente più ambiziosa rispetto a quella di una qualsiasi colonna sonora destinata a far da saltuario corredo a una narrazione, oppure semplicemente ad accompagnare le immagini di un documentario. Questa volta, infatti, la musica rappresenta un vero e proprio veicolo di espressione e racconto, poiché la pellicola dell'iconoclasta regista newyorkese Bill Morrison, alla quale funge da fondamentale complemento, non presenta trama né dialoghi. Alla musica è dunque demandato qualcosa più di un semplice ruolo di accompagnamento, tanto più che il suo rapporto con le immagini è inverso rispetto a quanto solitamente avviene in una colonna sonora. È stata infatti la parte visuale del film a doversi adattare, quanto a taglio e durata delle scene, a quella sonora, già elaborata in precedenza e solo in seguito parzialmente rielaborata nella cattedrale di Durham, nella quale si svolge la scena conclusiva del film.
E qui musica e immagini trovano la loro comunione d'intenti nel concept sotteso a tutto il progetto "The Miners' Hymns" e incentrato sul declino dell'industria carbonifera inglese, fino allo sciopero del 1984 e al successivo smantellamento delle miniere.
Mai come in questo caso, dunque, può risultare parziale il semplice ascolto della sola parte musicale dell'operazione, decontestaulizzato dalla visione di immagini che - da quel poco che si vede nel trailer d'accompagnamento - cominciano con la descrizione dei luoghi e dell'umanità al lavoro, per poi proseguire con manifestazioni di piazza, cartelli e barricate e infine concludersi con l'ingresso dei dimostranti nella cattedrale di Durham.
Avendo riguardo, per forza di cose, alla sola parte musicale del concept, appare subito evidente come in essa Jóhannsson si sia discostato non poco dal minimalismo della sua precedente soundtrack, per realizzare qualcosa di imponente, grandioso e al tempo stesso inquietante, attraverso il fondamentale apporto di un'orchestra d'ottoni di sedici elementi.
Solenni e tenebrosi, gli inni dei minatori vivono di atmosfere austere e angosciose, costruite intorno a rallentamenti dal taglio notturno e saturazioni organiche, che solo per brevi tratti preludono a impennate maestose, in funzione di enfatizzazione dei momenti più drammatici piuttosto che di liberazione di una tensione invece sempre latente in sospensioni, drone granulosi e loop di claustrofobica concisione.
Rispetto ad altre opere del compositore islandese, "The Miners' Hymns" appare dunque più tetra e insistita, pur ritrovando l'ampiezza narrativa dei tempi di "Virðulegu Forsetar", in particolare nelle prime tre articolate composizioni (tutte ben oltre i dieci minuti di durata). Mancano, invece, l'incanto e la tensione alla magia dello splendido "Fordlândia" e quell'apertura alla luce che riaffiora soltanto nella conclusiva "The Cause Of Labour Is The Hope Of The World", fin dal titolo, un vero e proprio inno, con un arioso crescendo che lascia aperta la porta alla speranza.
Organi di chiesa, archi e un imponente impianto di fiati suggellano così un lavoro estremamente ambizioso, il cui significato integrale può essere colto solo attraverso la fruizione congiunta delle sue componenti visuali e sonore; da queste ultime, emerge tuttavia con sufficiente chiarezza la capacità di pennellare affreschi musicali vividissimi, che fa di Jóhann Jóhannsson uno dei compositori contemporanei più espressivi e raffinati, non certo limitatamente all'ambito delle colonne sonore.
22/06/2011