Sebbene siano in quattro, il termine più appropriato da spendere per i WU LYF è quello di collettivo o, tutt'al più, di società di produzione, no profit e rigorosamente autogestita, che vanta con orgoglio qualcosa come cinquecento affiliati tra musicisti, pittori, designer, liberi pensatori, grafittari, poeti o semplici criminali. Un organismo policentrico in bilico fra gli happening del gruppo Fluxus e le posse anarco-marxiste della Londra squatter e post-punk di Scritti Politti e London Musicians' Collective, magistralmente rievocata dalle ricostruzioni storiografiche di un narratore d'eccezione come Simon Reynolds. Tuttavia i programmatici WU LYF ci tengono a precisare che la loro musica è essenzialmente "heavy pop", curiosissimo pastiche (da prendere con generoso beneficio d'inventario) di psichedelia, art-punk melodico, post-rock e musica che vien quasi la tentazione di definire sacra (quell'organo un po' ovunque...), pensata e creata appositamente per l'apocalisse pop che ci sta inghiottendo tutti.
I fatti per ora danno ragione ai quattro ideologi in erba, nel senso che dal Guardian a Pitchfork, dopo singoli a tiratura limitata andati praticamente polverizzati in poco meno di una frazione di secondo, il disco sta lasciando dietro di sé una lunga scia zigzagante di cuori spezzati e accoratissimi panegirici. Tra chi li considera addirittura come l'equazione risolta tra la cialtroneria megalomane dei concittadini Happy Mondays e il millenarismo degli Swans, e chi, più lucidamente e con maggiore acutezza, parla di Explosions In The Sky, Wolf Parade, Built To Spill e certi Modest Mouse, è tutto un rincorrersi per il desktop di nomi convulsi e analogie senza freni. Quello che resta, una volta messi a tacere gli idoli del foro, è un album più che buono, marchiato a fuoco da voci caratteristicamente aguzze e sbraitanti e dal suono di chitarre che disegnano con tratto liquido paesaggi aspri e vaporosi, in bilico tra il post-rock piegato alla canzone e un messale liturgico di preghiere elettrificate (si goda ad esempio il gigantismo di scorci pittoreschi come "Such A Sappy Dog", soprattutto la seconda metà, "We Bros" o "Dirt"). In pezzi come "Heavy Pop" o "Cave Song" si ha poi quasi la sensazione di risentire i primissimi British Sea Power che riscrivono da capo i soliloqui di Captain Beefheart, ed è tutto dire...
Per il momento dunque, hype o non hype, il quartetto dimostra di sapere fin troppo bene quello che sta facendo e di volerlo fare nel migliore dei modi possibili. Difficile capire ora dove possano arrivare ma, e ci sono pochi dubbi al riguardo, quel che già si può sentire li porterà abbastanza lontano. Nel frattempo, buona apocalisse a tutti.
(23/06/2011)