Origami - arte del piegamento e della leggerezza. Più che mille paragoni musicali, valga questo per gli Everything Everything: come una scultura di carta, il loro debutto "Man Alive" è sfuggente e stratificato, geometrico, quasi severo nel suo serafico bizantinismo.
Trattasi però di un disco pop. Certo, un pop sui generis, fatto di architetture ardite, voci adamantine e ritornelli imprendibili, incantabili, ma comunque astrusamente orecchiabili. Un disco di canzoni - e che canzoni! - che a ogni ascolto sembrano appartenere a un genere diverso: una volta ci senti il prog celestiale degli Yes, un'altra l'r'n'b a incastro delle Destiny's Child. Quella dopo magari Steve Reich, o i Talking Heads, o i Super Furry Animals.
In un simile caleidoscopio stilistico, conviene trovare un punto fermo. La voce di Jonathan Higgs, che vola a due metri da terra su un falsetto innaturalmente soulful, senza curarsi dell'effetto disorientante e poco espressivo. Delle emozioni terrene a questa musica importa poco, e la freddezza finirà inevitabilmente per alienare il successo agli Everything Everything. Il piacere di questa formalità estatica sta nell'abbandonarvisi, per contemplarne i molti risvolti: la purezza angelica delle armonizzazioni vocali, il loro disporsi su melodie multiple e sempre nuove, lo sposalizio perfetto coi giochi cristallini delle chitarre e i limpidi tocchi electro-pop.
Torniamo però alla voce di Jonathan Higgs. È proprio il suo timbro a svelare due accostamenti rivelatori, coi Bloc Party e i Long Fin Killie (band capitanate, non a caso, dai due neri più "bianchi" a memoria d'uomo). Dei primi, gli Everything Everything hanno un po' dell'enfasi, il suono di chitarra, qualche diavoleria elettronica e, soprattutto, il formidabile tiro nu wave. Perché la carica dance di "Man Alive" spazza via in un attimo ogni accusa di apatia. Il combo basso/batteria è travolgente, e si muove agilmente tra sussulti punk-funk e bordate genesisiane (vedi la conclusiva "Weights", con un groove che pare uscito da "The Lamb...").
E degli ammalianti Long Fin Killie, che cosa c'è in "Man Alive"? Senz'altro il gusto per l'intreccio geometrico, la scomposizione ritmica: si va da world music smonta-e-rimonta ("Schoolin'") a curiosi esercizi rinascimentali ("Two for Nero"), senza però che la complessità si tramuti in complicazione gratuita. Sta proprio qui il filo che unisce il disco ai Long Fin Killie e al miglior progressive, nella capacità di smussare gli spigoli, e piegare l'elemento matematico alla chiarezza degli intenti compositivi.
Li spacciano per la risposta ai Foals. Non fidatevi: gli Everything Everything sono molto, molto di più.
16/09/2010