Destiny's Child

Destiny's Child

La forza del destino

Grandi successi, momenti topici, costumi inguardabili, un padre spietato, cause legali e cagnate sui tabloid: moltiplicate il tutto per sei procaci vocalist ed ecco le Destiny's Child, perfetto prototipo di girlband r&b a cavallo tra i Novanta e i Duemila. Una storia piena di colpi di scena, dalla quale emergerà una certa Beyoncé Knowles...

di Damiano Pandolfini

Uno! Due! Tre! Quattro!
Uno! Due! Tre! Quattro!

Houston, Texas metà anni 90; i ragazzi del campetto da basket si fermano a osservare la scena, ed eccole che passano, le quattro agili gazzelle che tutte le sere vengono a correre nel parco del quartiere. Beyoncé Knowles, Kelly Rowland, LaTavia Roberson e LeToya Luckett, tutte classe 1981, sono in piena fase di allenamento. Olimpiadi? Peggio: le ragazze fanno parte di una girlband attualmente in cerca di contratto, il che significa lezioni giornaliere di canto e coreografia, prove costume e un sostenuto regime dietetico e sportivo per farsi trovare sempre sul pezzo. La sera tutte a letto presto, sia durante la settimana scolastica che al sabato e la domenica. Fidanzati manco per sbaglio. Le ragazze sono nel pieno dell'adolescenza, ma portarsi al livello richiesto dall'industria è un lavoro a tempo pieno che richiede ordine e disciplina. A tutto il resto si provvederà poi.

 

A bordo parchetto a incitare le ragazze a pestare sui talloni c'è un burbero uomo di mezz'età dallo sguardo eternamente apprensivo. Si chiama Mathew Knowles, è sia padre che custode legale di un paio delle ragazze in questione nonché boss e direttore generale dell’intera operazione “girlband cerca contratto”.
Certo, stasera il giramento di coglioni che traspare dal suo volto è più evidente del solito: Mathew ha appena lasciato la propria professione di rifornitore farmaceutico per concentrarsi a tempo pieno sul futuro delle ragazze, con tanto di iscrizione a un corso in management discografico all'università di Houston. Spetterebbe alla moglie Tina l'onere finanziario di mandare avanti la casa tramite il proprio salone da parrucchiera – solo che questa ha prontamente calciato il marito fuori di casa in preda allo stress. Spoiler alert: Mathew riuscirà a rimettere piede tanto in casa quanto nel proprio matrimonio, le quattro ragazze diventeranno un fenomeno da classifica, sua figlia Beyoncé un'icona di proporzioni ingombranti e anche l'ultimogenita di casa Solange, nel tempo, sarà in grado di farsi valere a meraviglia.

 

Ma per Mathew al momento tutto questo è ancora un sogno lontano, nato da una conversazione con un vecchio amico di scuola, amante della musica e degli affari. In mente ci sono comunque un paio di possibili canovacci: Berry Gordy, celebre boss della catena di montaggio macina-successi Motown Records, e Joseph Jackson, padre di quel famosissimo clan i cui vari membri dominano le chart di mezzo mondo da un ventennio buono. Può far strano pensare al metodo Jackson in particolare come a un plausibile piano di carriera, visti i controversi metodi impiegati da quest'ultimo, ma nell'America di quegli anni vigono ancora le vendite in formato fisico e uno smodato consumismo da idolatrazione adolescenziale declinata in merchandise e tour mastodontici. L'industria discografica, insomma, ha l'aspetto del deposito di Zio Paperone: basta essere motivati, ambiziosi e un filo incoscienti per provarci.
Che poi l'idea inizialmente non parte neanche dai Knowles; sin dall'età delle elementari, la loro piccola Beyoncé è più timida e riservata del normale, così viene iscritta a un corso di ballo per vedere se magari l'attività di gruppo l'aiuta a uscire dal guscio e stringere qualche amicizia. Il giorno del saggio di fine anno, i genitori seduti in sala vengono letteralmente spettinati da un'irriconoscibile bimba che per un minimo di pubblico è pronta a trasformarsi in un tornado di energia. Il danno è stato fatto. Sarà proprio Beyoncé, all'età di soli otto anni, a fare amiciza con LaTavia Roberson durante un provino e le due bimbe diventano subito inseparabili. Nel giro di qualche anno s'è formata una gang di adorabili ma agguerritissime mocciose: le Girl's Tyme.

testo220x270tyme_01La line-up varia molto in quegli anni, ma i membri principali, oltre a Beyoncé e LaTavia, comprendono LeToya Luckett, una compagna di classe di Beyoncé, cresciuta cantando nel coro della chiesa e che mostra già un'inusitata confidenza nelle proprie capacità, più Támar Davis (futura collaboratrice di Prince) e le sorelle Nikki e Nina Taylor. E poi c'è Kelly Rowland, compagna di classe di LaTavia, reclutata dopo che quest'ultima l'ha sentita cantare durante la ricreazione. Nativa della Georgia, Kelly è atterrata a Houston col fratellino a traino di una madre in fuga; il padre, Christopher Lovett, è un veterano del Vietnam rientrato in America con una profonda serie di traumi psicologici e presto abbandonato al proprio destino dal governo assieme a migliaia di altri reduci dal conflitto - uno dei più ferocemente criticati scandali di politica interna dell'America di quegli anni. Stando ai racconti, l'uomo beve e alza le mani sulla famiglia, costringendo la madre a trasferirsi in un altro stato e sbarcare il lunario come può, con tutte le difficoltà che questo comporta. Nel momento in cui Kelly entra nella band, i Knowles offrono alla madre di prendersi cura di lei in caso di necessità e la piccola finisce col crescere in camerina assieme a Beyoncé e Solange, formando un profondo legame con l'intera famiglia che perdura tutt'oggi.

Sotto la prima guida di un genitore del giro scolastico, tale Andretta Tillman, le Girl's Tyme in formazione a sei arrivano a un passo dal successo; Arne Frager, famoso discografico dell'epoca, vola a Houston per incontrarle di persona dopo aver ricevuto un provino in videocassetta, e riesce a portarle sul palco di "Star Search", popolare talent show di quegli anni. Le bimbe purtroppo arrivano seconde qualificate, perdendo lo sponsor necessario per afferrare un contratto. Ed è qui che Mathew Knowles decide di prendere in mano le redini del progetto, motivato dalle possibilità che il mondo dello spettacolo può offrire. La line-up è presto ridotta a soli quattro membri e il nome del gruppo passa tra varie incarnazioni fino a che non viene scelto quello che le porterà al successo: Destiny's Child. Col padre al timone legale e organizzativo, mamma Tina addetta a costumi e acconciature, e le clienti del salone di bellezza di quest'ultima a fungere da giuria critica, le ragazze passano in un battibaleno dall'infanzia all'adolescenza, trasformandosi nelle quattro agili gazzelle di cui sopra.
Si iniziano a vedere subito le avvisaglie della famosa "supremazia di Beyoncé". Non ci vuole certo un genio per immaginare il naturale favoritismo del padre/manager nei confronti della sua primogenita, creando una tossica rete di dinamiche tra membri che si intensificheranno fino ad arrivare in tribunale. Ma la stessa Beyoncè, anni più tardi, sarà costretta a licenziare il padre per liberarsi dal suo sempre troppo ingombrante modo di fare. Seguiranno a ruota le rimanenti superstiti della band nelle rispettive carriere soliste. La moglie Tina chiederà il divorzio nel 2011.
C'è però da dire che la giovane Beyoncé non si siede sugli allori, ma anzi adotta una dura disciplina lavorativa proprio per non deludere le pesanti aspettative paterne. Se le prove sono dall'una alle quattro, lei per mezzogiorno ha già fatto il riscaldamento e non smette di esercitarsi fino alle cinque passate. Ha una naturale passione per il ballo e non si accontenta fino a quando la coreografia non è perfetta. La sua energia viene supportata da tre ottave di voce dal timbro forte e brillante che prende naturalmente il sopravvento sulle altre, sia in studio che dal vivo. Nel giro di pochi anni, la bimbetta che gracchiava sul palco di "Star Search" s'è tramutata in una giovane lead singer ed energica ballerina, che sfoggia oltretutto una silhouette da urlo e un volto da fotomodella. Pubblico e stampa faranno un gran chiacchierare su come la sua presenza metta costantemente in ombra le colleghe, ma oggettivamente la ragazza ha tutto quel che serve: talento, immagine, ambizione, disciplina e un padre pronto a darle manforte. La sua carriera solista sarà testamento di tali indistruttibili qualità.

Non che le altre ragazze siano da meno; LaTavia e LeToya sono piacenti vocalist con l'orecchio allenato e due sorrisi grandi come l'entusiasmo della beata gioventù, mentre la fotogenica Kelly, oltre a un carismatico mezzosoprano e sensuali doti da ballerina, sfodera un paio di gambe autostradali tra i più mozzafiato di tutto l'r&b.
Si può subito avere l'impressione di un bieco mercato della carne giocato sui corpi di quattro ragazze ancora minorenni - ed è esattamente così. Il prototipo della perfetta girlband afroamericana segue un rigido regolamento, inaugurato proprio quando le Supremes, trent'anni addietro, rivoluzionarono con impressionante velocità moda e acconciatura per l'intera comunità, a dimostrazione dell'immenso potere a doppio taglio dell'immagine nella cultura popolare dell’Occidente. Là fuori la competizione è agguerrita come non mai, le pur preparatissime Destiny's Child impiegheranno un paio di album per ingranare come si deve. Il prezzo da pagare sarà salato per tutti.

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Dal timido debutto al grande successo in un paio di rapide mosse

 

Il singolo di debutto "No, No, No" arriva nel novembre 1997 già pronto in due versioni; "Pt. 1" è una melliflua quanto canonica ballata in midtempo giocata sui sensuali movimenti delle interpreti, ma è la ben più slanciata versione remix di "Pt. 2", con l'assist di Wyclef Jean, a salire fino al n.3 di Billboard, donando alle Destiny's Child un primo incoraggiante momento di notorietà. Anche il secondo singolo "With Me" viene presentato in due versioni per raddoppiarne il raggio, il successo stavolta non si ripete e solo l'originale "Part I" riceve qualche fugace attenzione: montata seguendo un arabeggiante giro melodico (cosa peraltro molto di moda di quei tempi, tramite il sampling selvaggio nel mondo dell’hip-hop dopo il successo in Occidente di “Shaday” di Ofra Haza), la canzone è un'altra sensuale jam da club sulla quale le Destiny's Child s'insediano a turno al timone, creando una serie di quadretti poi meglio illustrati nel calzante videoclip di accompagnamento.

Destiny's Child fa capolino nel febbraio del 1998; in copertina, quattro diciassettenni vagamente imbambolate ammiccano timidamente verso la telecamera, tra aderenti outfit coordinate in nero e una semplice posa in fila su sfondo bianco. Ma nonostante l'immensa trafila di autori, musicisti, produttori e collaboratori chiamati a raccolta da un Mathew Knowles che non vuol lasciare niente al caso, l'album non ottiene il successo sperato, trascinandosi senza troppi entusiasmi nelle principali classifiche e ammassando semmai il grosso delle vendite solo con l'andare del tempo e l'arrivo dei futuri successi.
Tutto sommato, Destiny's Child non è un ascolto memorabile; trattasi del tipico r&b anni 90 che fa il filo alle produzioni di BabyFace, R. Kelly e Walter Atanasieff, al contempo troppo monotono nel melodismo e davvero patinato e plasticoso nei suoni, un ascolto levigato fino all'eccesso al punto che le già comunque buone armonie vocali delle ragazze non riescono a far buca - basti la lungagnata di "Killing Time" come esempio di un genere dove sensualità e atmosfera vengono messe prima di forma e scrittura.
Beyoncé è subito identificabile come la voce principale del gruppo e conduce il grosso del disco: dopo l'introduzione di "Second Nature", eccola trarre ispirazione da Anita Baker per intonare "Tell Me" e poi da Whitney Houston per "Birthday", mostrandosi già in buon possesso del proprio strumento, ma ancora incerta sul come sviluppare uno stile personale.
Certo, scorrono piacevoli sia il funk di "Bridges", una delle costruzioni melodiche meglio riuscite dell'intero lavoro, che il sibillino giro synth-funk anni 80 di "Show Me The Way" sulla scia di Prince, Cymone e Rick James. Ma bastano i pur timidi rifacimenti di "Sail On", celebre pezzo dei Commodores dell'era con Lionel Richie, e di "Illusion", originariamente titolata "Just An Illusion" per bocca dei britannici Imagination, per mettere subito in mostra la differenza di scrittura col resto del costoso ma piatto lavoro del team spesato dalla Columbia.

Il business delle girlband negli anni 90 è un affare serio e lucrativo; l'attuale formula di Destiny's Child è già stata inaugurata a inizio decennio dalle SWV, mentre sia le britanniche Eternal che le connazionali En Vogue hanno ottenuto successo tramite slanciate produzioni pop/r&b e vocalismi ricamati sullo stile della mattatrice da classifica americana di quegli anni, Mariah Carey. Dal lato più urban, invece, spopolano le Xscape, ma soprattutto le mitiche TLC che con "CrazySexyCool" hanno già donato un'inimitabile pietra di paragone per il genere e raggiunto la certificazione di diamante in America - prima e unica band di ragazze afroamericane attualmente presente in tale lista. In un contesto del genere, Destiny's Child suona troppo poco dinamico per potersi affermare a dovere sul grande pubblico - ma le ragazze lavorano sodo e, tra tour promozionali, apparizioni in Tv e un singolo di lancio in rotazione radiofonica, riescono comunque a conquistarsi un buon seguito di pubblico.

La seconda metà degli anni 90 è anche segnata dall'arrivo delle nuovissime produzioni hi-tech di un certo Timbaland, e le Destiny's Child vengono spedite in direttissima in studio con quest'ultimo a incidere un pezzo per la colonna sonora del film "Why Do Fools Fall In Love", ovvero l'ansimante e sicuramente più futuribile "Get On The Bus". Il pezzo purtroppo non ottiene grande successo, ma qualitativamente è un discreto salto avanti: le ragazze si mostrano più sciolte e disinibite mentre cavalcano sopra quella stratificata base tutta blip elettronici, seghettature ritmiche e un atmosferico sample di contorno - tutta roba che poi sarà la firma di Timbaland per diversi anni a venire. La routine di ballo del videoclip viene coreografata da Aaliyah, nuova pupilla dell'r&b che proprio sotto la produzione di Timbaland & Missy Elliott in quel mentre pubblica l'apprezzatissimo "One In A Million".

The Writing's On The Wall (1999) viene invece inaugurato a strettissimo giro dall'ormai storica "Bills, Bills, Bills", il primo n.1 in America per le Destiny's Child e canzone con la quale il gruppo balza aggressivamente alle attenzioni popolari. Via i timidi sorrisi e via le più caute pose sexy, le quattro protagoniste di "Bills, Bills, Bills" recitano la parte della donna stanca di essere presa in giro da un uomo irresponsabile, una scenetta perfettamente ricreata nel videoclip che viene girato in un salone di bellezza in onore alla madre Tina Knowles. Il pezzo saltella con fare sibillino tra la strofa e il ritornello, ma il momento topico e più immediatamente memorabile è il refrain, dove l'accompagnamento si ferma di botto e le ragazze armonizzano quasi a cappella il celebre motivetto tutto in staccato:

I don't think you do
So you and me are through

...salvo poi farsi ritrascinare con piglio quasi neoclassico nel pieno dell'andamento ritmico grazie a quell'insistente ghirigoro di clavicembalo sintetico tipico delle produzioni dell'epoca. Con una più attenta costruzione melodica, e qualche piccolo ed esoso accorgimento extra, il team Destiny's Child mostra finalmente di avere la stoffa per farsi notare sul serio:



Tra i singoli figurano anche "Bug-A-Boo" e "Jumpin Jumpin": la prima è un altro concitato inno all'indipendenza, con le ragazze che sgallettano con tutta la gradassa carica erotica della gioventù, mentre la seconda è un pezzo sostanzialmente ideato per la sola Beyoncé e si gioca su fitte trame ritmiche e una minimale linea melodica snocciolata con piglio già ben più convinto rispetto agli esordi.
Ma per il resto, The Writing's On The Wall non è ancora libero dall'ennesima trafila di midtempo e soffusi lentazzi allo zucchero filato: "Confessions", "Temptation", "Now That She's Gone", "She Can't Love You" e "Stay" sciorinano i soliti temi d'amore tipici di ogni canzone per adolescenti: gelosia, intimità, colpa mia e colpa tua. Su tale demografia il successo è garantito: per milioni di ragazzine, Beyoncé, Kelly, LaTavia & Letoya rappresentano immediatamente la figura di amiche e modelli da imitare per attitudine, vestiario e accociature alla moda.
The Writing's On The Wall sarà presto il bestseller delle Destiny's Child in America, nel corso del tempo smercerà quasi dieci milioni di copie in giro per il pianeta. Riascoltato oggi, l'album mostra tutti gli acciacchi dell'età per via di una sonorità al bubblegum poco dinamica per stare al passo con gli sviluppi dell'r&b negli anni successivi. Le ragazze sono indubbiamente più coinvolte nella stesura dei pezzi e soprattutto nella creazione delle armonie vocali, ma ancora una volta il gigantesco team chiamato in studio finisce con lo spersonalizzare quanto di buono si agiterebbe in sottofondo. Rimane comunque al disco un indubbio alone di nostalgia, la nitida fotografia di un'era ben precisa durante il passaggio al nuovo millennio.
Due collaborazioni in particolare mettono in luce il dualismo della visione di Mathew Knowles in quegli anni: le Destiny's Child fanno da coriste sul teen-pop di "Woman In Me", pezzo di una debuttante Jessica Simpson al momento tutta buon costume e sani valori cristiani, e poi subito dopo prendono parte all'esatta controtendenza tematica di "Thug Love" del celebre gangsta-rapper 50 Cent.
Tuttavia, va fatta una menzione per "Intro (The Writing's On The Wall)", un bizzarro interludio parlato di quasi due minuti sul quale le quattro ragazze si impersonano boss mafiosi durante una riunione tra clan, con tanto di voci volutamente rauche e accenti italoamericani a vari livelli di apprezzabilità. LeToya Barzini, Beyoncé Corleone, Kelly Sterachi e LaTavia Mensa si stanno preparando a dominare l'intero mercato discografico:

[LaTavia:]
L’obiettivo di questa riunione oggi è discutere il codice d'onore delle Destiny’s Child

[Kelly:]
Vedete, è così malsano, così inutile
Finire col cuore spezzato tra di noi

[LaTavia:]
Sì, Padre
I tempi sono cambiati
Le relazioni non sono più quelle di un tempo

[LeToya:]
Vedi, quello di cui abbiamo bisogno è un uomo d’onore
Tutto questo... uh tradirsi, uh accoltellarsi alle spalle, uh odiare
Basta, basta

[LaTavia:]
Ma Padre, come facciamo a evitare queste scaramucce?

[Beyonce:]
Ma è ovvio, The Writing’s On the Wall: 'Tu non devi odiare'

E sulle prime, tale "Intro" è poco più di una giovanilistica idea nata da quattro ragazzine che vogliono divertirsi e dare un senso al titolo del proprio album. Ma il significato della riunione presto si rivelerà talmente profetico che se non fosse successo per davvero qualcuno prima o poi ci avrebbe fatto un film: Barzini e Mensa ancora non lo sanno, ma le famiglie Corleone e Sterachi stanno per fare platealmente piazza pulita dei loro servigi, aumentando esponenzialmente la presenza mediatica su tutti i tabloid del periodo e contribuendo al grande successo di The Writing's On The Wall.

Poco prima dell'inizio dell'ala europea del tour di supporto al disco, nell'inverno del 1999, LaTavia si ammala e viene ricoverata in ospedale - niente di troppo grave, fortunatamente, ma il periodo di riposo imposto dal dottore è in conflitto con le date del tour. Senza neanche battere ciglio, Mathew Knowles la sostituisce con una delle ballerine di contorno e il carrozzone va avanti come se nulla fosse, al punto che la cosa non verrà nemmeno ufficialmente annunciata. Dietro le quinte si scatena il parapiglia, dal momento che nessuna delle quattro ragazze è stata consultata sulla scelta, ma per Mathew il business discografico è totalmente avulso da ogni sentimentalismo, soprattutto nel momento in cui la ruota del successo sta girando per il verso giusto: indipendentemente da chi c'è su quel fottuto palco, lo spettacolo deve andare avanti.
Nel giro di pochi giorni dal rientro del tour, un'ancora contrariata LeToya contatta la convalescente LaTavia e le due rimettono mano a quel contratto manageriale redatto da Knowles e a loro imposto senza condizioni ai tempi della firma con la Columbia. Come purtroppo tipico dell'ambiente discografico, nascosti tra pagine e pagine di linguaggio giuridico, i termini del contratto danno al Sig. Knowles il potere decisionale e finanziario dell'intera operazione Destiny's Child. Ma mentre Beyoncé e Kelly, che sono di famiglia, godono giocoforza di un trattamento speciale (pur avendo anche loro zero voce in capitolo), per LaTavia e LeToya gli introiti personali sono minimi, soprattutto considerando i milioni di dischi che The Writing's On The Wall sta smerciando in tutto il mondo.

Ma la loro iniziale richiesta di revisione dei termini viene ricevuta con un plateale schiaffo in faccia, di quelli raramente visti nella storia dell'intrattenimento: la sera del 15 febbraio 2000, sia Mtv che Bet hanno a disposizione la premiere del video dell'attesissimo nuovo singolo delle Destiny's Child, "Say My Name" - peccato che né LaTavia né LeToya, sedute nei rispettivi salotti di casa di fronte alla Tv, ricordino di aver mai preso parte alle riprese. Partono le immagini sullo schermo, le voci sono indubbiamente quelle delle quattro componenti originali così come erano state registrate in studio, ma accanto a Beyoncé e Kelly nel video ci sono due volti totalmente nuovi, Farrah Franklin e Michelle Wlliams:


Senza neanche degnarsi di informarle o di offrire quntomeno una riunione, Mathew Knowles rimescola le ragazze come burattini e porta avanti la propria band come se le altre due non fossero mai esistite.
Per LaTavia e LeToya il rospo da ingoiare è di un amaro incalcolabile; oltre al danno per l'aver perso in un colpo solo quasi dieci anni di duro lavoro per trasformarsi in Destiny's Child, ci si mette anche la beffa, perché è proprio tramite una canzone intitolata "dì il mio nome" che le due ragazze vengono sostituite senza neanche la gentilezza di una reincisione con le nuove voci. Come se non bastasse, il singolo si tramuta in un gigantesco successo, ritoccando la vetta della chart in America e portandosi a casa un paio di Grammy - a tutt'oggi, "Say My Name" rimane una delle più riconoscibili e canticchiabili hit della propria epoca.

La causa legale di LaTavia e LeToya contro Mathew Knowles diventa subito il chiacchiericcio dell'ambiente, i tabloid fanno a gara a raccogliere dichiarazioni da chiunque capiti loro sotto tiro, tanta è la sete di malignità che cironda le componenti di una girlband attualmente in vetta alle classifiche.
Mentre Mathew rimane impassibile, l'impatto emotivo è certo tassativo per il morale delle quattro ragazze interessate, amiche sin dalla scuola elementare e cresciute tutte assieme come sorelle aiutandosi l'un l'altra durante l'eccitante scalata al successo. Ma qualsiasi dubbio morale attraversi la mente di Beyoncé e Kelly viene tenuto privato, di fronte alle telecamere le due prendono le parti del padre. Presto l'intera situazione scade in un'abbaiata di offese e recriminazioni rilasciate ai quattro venti, al punto che la causa di LaTavia e LeToya, inizialmente indirizzata contro il solo manager, si estende anche alle stesse Beyoncé e Kelly. Il caso viene sistemato fuori dall’aula per una somma rimasta privata, ma il giudice sancisce a tutti i partecipanti coinvolti il divieto di parlare pubblicamente della parte opponente. La frittata comunque è stata fatta, la famosa frase intonata da Beyoncé nel ritornello di "Say My Name" ha già assunto le sembianze di uno sputo in faccia:

You acting kinda shady...

Per LeToya Luckett e LaTavia Robinson l'era di The Writing's On The Wall si conclude con un licenziamento passivo/aggressivo, un ultimo singolo di gran successo rubato da due sconosciute e la fine dell'avventura nella girlband più chiacchierata del momento - una batosta emotiva che francamente pochi altri saprebbero affrontare alla sola età di dicannove anni.
LeToya riuscirà a rialzarsi in piedi e avviare una carriera solista con discreto successo, come vedremo più avanti. Per LaTavia l'avventura discografica finisce sostanzialmente qui, in futuro la vedremo principalmente in veste di personalità da teatro, serie Tv e reality show, ma la sua salute emotiva stenterà a riprendersi almeno per un po' - farà notizia, molti anni più tardi, la confessione di una decennale lotta contro l'alcolismo. Solo grazie al lungo e costante lavoro di Tina Knowles, sorta di figura materna che aleggia indistintamente sopra tutti i diretti interessati, i rapporti tra le ragazze riprenderanno lentamente quota nel corso degli anni fino a tornare a quelli di sempre.

Da quattro a tre

 

La cosa peculiare di tutta la faccenda è che l'immagine delle Destiny's Child non subisce alcun danno, ma anzi cresce di mese in mese, come se fossero le diatribe legali a scrivere canzoni. La riprova non tarda ad arrivare; senza notificare le ragazze, Mathew invia un loro inedito a Hollywood come possibile sigla per il rifacimento di "Charlie's Angels" attualmente in lavorazione, et voilà: "Independent Women Part 1" prende letteralmente fuoco ovunque, tanto grazie al successo al botteghino del film quanto grazie all'hype attorno alle nuove Destiny's Child, che intonano uno dei motivi più memorabili dell'intera carriera del franchise. Se sul grande schermo Cameron Diaz, Drew Barrymore & Lucy Liu catturano l'immaginazione di milioni di adolescenti tramite le loro rocambolesche e invero ridicole avventure, Beyoncé, Kelly, Farrah & Michelle ne sono la perfetta controparte in chiave musicale:


Ancora una volta, i drammi all'interno del gruppo fomentano la pubblicità: a soli sei mesi dall'entrata nei ranghi, la diciottenne Farrah Franklin lascia le Destiny's Child - la sua voce è ancora presente, ma nel momento in cui viene girato il video qui sopra il gruppo è già ridotto a un trio. La ragazza è subito provata dai ritmi serrati della vita da popstar, ma soprattutto dalla negatività che si è dovuta sorbire nel momento esatto in cui ha messo piede nel gruppo - né lei né l'altra nuova entrata Michelle Williams erano state informate circa i motivi della dipartita di LaTavia e LeToya, ma mentre la prima si mantiene saggiamente sulle sue, Farrah entra in crisi e viene presto sopraffatta dai sensi di colpa e dalla paura che un simile trattamento possa benissimo capitare anche a lei.
Nonostante il nuovo scandalo, "Independent Women Part 1" si pianta in vetta a Billboard per la bellezza di undici settimane consecutive, attraversando l'intero periodo natalizio a cavallo tra il 2000 e il 2001. Delle quattro interpreti adesso sul palco ce ne sono solo tre, ma ancora una volta al pubblico la cosa non fa né caldo né freddo - per tacere del fatto che nessuno pare notare l'ironia di una canzone chiamata "donne indipendenti" intonata da un gruppo che ha dimostrato di avere tutto tranne che indipendenza sulle proprie decisioni.

Durante un'intervista rilasciata in quel periodo, Beyoncé chiude una volta per tutte la questione della line-up e della dipartita di ben tre membri nel giro di pochi mesi, dichiarando molto inelegantemente ma senza mezzi termini:

Tutti i pesi morti hanno lasciato le Destiny's Child

Dichiarazione che manda in brodo di giuggiole gli addetti al gossip e mostra per la prima volta l'immagine di una giovane lead singer che ha fatto pace coi propri sensi di colpa e ha capito come funziona il gioco dell'industria. Gran parte delle antipatie a lei dirette nel corso della futura carriera solista partono grosso modo qui, nel momento insomma in cui una donna sceglie di andare avanti con la propria carriera a discapito di problemi legali e legami affettivi. Tra recriminazioni per l'apparente cuore di pietra e future rivalutazioni che invece ne ribaltano il significato in luce di un nuovo modo di pensare nell'era del neo-femminismo, Beyoncé rimane salda nella propria scelta e il destino le dà subito ragione; la formazione a tre - Beyoncé/Kelly/Michelle - sarà l'ultima e la definitiva, e Survivor (2001) è il disco che consacrerà le Destiny's Child come una delle più celebri girlband dell'r&b americano.

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Oltre al successone di "Independent Women Part 1" (presente in scaletta anche in una versione "Part II" come ormai da tradizione per la band), il disco infila un altro paio di singoli dalla minore esposizione radiofonica ma sempre molto amati dai fan: "Nasty Girl" è un momento ormai caratteristico dello stile delle ragazze e arriva corredato da un videoclip che potrebbe essere recitato da P!nk, mentre "Emotion", rifacimento di una celebre canzone del 1977 scritta da Robin & Barry Gibb per la cantante australiana Samantha Sang, è la ballata in chiave acustica necessaria a dare il giusto momento di respiro - durante i concerti, le ragazze si siedono in semi-cerchio per armonizzarla in coro.
Impossibile però sfuggire al pernicioso successo di "Survivor", altro singolo che sbanca soprattutto in Europa tramite una linea melodica ripetuta all'ossessione e quel giro d'archi sintetici che ronza come un moscone, mentre le ragazze si agitano come giunoniche amazzoni in una foresta pluviale. Il titolo fa indubbio riferimento alle diatribe legali ed emotive alle quali la band è sopravvissuta nell'ultimo paio di anni, ma la frase

You thought I wouldn't sell without you
I sold nine millions

scatena subito un'altra causa da parte di LaTavia e LeToya, che si sentono direttamente coinvolte da tale malignità rilasciata così gratuitamente - e francamente è impossibile dar loro torto.

 

Ma le controversie, si sa, aumentano la pubblicità: Survivor finisce con lo smerciare oltre dieci milioni di copie al mondo. Ma soprattutto il disco si conferma come il primo lavoro qualitativamente degno di nota del catalogo Destiny's Child, a riprova della prontezza di spirito di un team che invece di titubare spinge più forte che mai. La stessa Beyoncé appare in veste di autrice e co-produttrice su gran parte del disco - un escamotage non sempre vero, almeno stando a diversi addetti ai lavori che lamentano di mancati crediti - ma col padre al timone, ogni decisione viene rimodellata a suo piacimento. Pur senza essere un capolavoro, Survivor scorre liscio come l'olio: basti ascoltare l'appiccicosa marcetta psych-pop "Happy Face", reminiscente del lavoro di William Orbit con Madonna, o l'adulto trittico "Fancy", "Apple Pie à la Mode" e "Sexy Daddy", e si notano subito produzioni più snelle e melodie articolate, mentre le ragazze armonizzano come un piccolo coro - il "Gospel Medley", interamente a cappella, ne mette in mostra tutta l'elettrizzante sinergia.
La nuova arrivata Michelle Williams passerà alla storia come la più tipica terza ruota del carro, il che è assolutamente ingiusto perché la sua voce - un timbro più rauco e fumoso ma capace di gustose e carismastiche aperture - in verità è l'ingrediente essenziale per completare il terzetto. I pezzi nei quali Michelle ha più regno assumono un effetto tridimensionale e da vera girlband, stemperando l'onnipresente Beyoncé tramite una serie di inserti sicuramente più riconoscibili rispetto a quanto fatto in passato sia da Kelly che dalle ex-colleghe Farrah, LaTavia e LeToya.
Certo non mancano episodi meno ispirati; "The Story Of Beauty" è una sorta di breakbeat con barocchismi electro-rock un tantino troppo kitsch, mentre "Brown Eyes", co-scritta da Walter Atanasieff (quello delle temibili power ballad anni 90 del trittico Houston/Carey/Dion), suona già ampiamente fuori posto su un album del 2001 - spetta alle armonie delle ragazze fornire l'unico spunto d'interesse.
La ballata "Dangerously In Love" verrà ripresa dalla sola Beyoncé per il suo celebre esordio nel 2003; tra chitarra spagnoleggiante e melodramma lirico, il pezzo non è certo dei più originali, ma è congegnato al dettaglio per mettere in mostra l'intero registro intepretativo di una ragazza ormai in piena padronanza delle proprie doti vocali e più che pronta a fare il grande salto.
La versione internazionale di Survivor mostra una scaletta leggermente modificata con due tracce inedite; la curiosa "Perfect Man" si muove su un sample di percussioni africane creando un minimalista effetto urban, ma "My Heart Still Beats" è un'altra insostenibile melassa composta col solito Atanasieff.
Momento topico dell'intero disco - o meglio, dell'intera carriera delle Destiny's Child in qualunque line-up le vogliate - è però l'irresistibile "Bootylicious", sorta di deflagrante bomba atomica capace di contribuire alla riscrittura dell'idea di hit da club per grossa parte degli anni Zero - rilasciato come terzo singolo ufficiale, il pezzo riconquista la vetta in America e si tramuta in un sempreverde che perdura tutt'oggi. Costruito attorno ad un sample preso in prestito da "Edge Of Seventeen" di Stevie Nicks e mandato in loop come una sega elettrica, il pezzo ha una struttura ridotta all'osso ed è percorso da un'ossessiva tensione nervosa, ma i crescendo armonici intonati dalle ragazze, e quella serie di beat perfettamente incastrati tra di loro, offrono un dinamismo propulsivo tribale, ansimante, concitato e dannatamente perfetto:


Assieme a "I'm A Slave 4 U" di Britney Spears che esce un paio di mesi più tardi, "Bootylicious" è po' la cartina al tornasole delle produzioni r&b del momento, una sorta di bignamino su come costruire un pezzo bomba impiegando una semplice base e una moltitudine di effetti corali - presto ne troveremo ottimi esempi per mano di Gwen Stefani, Fergie, Kelis e tante altre. E se l'invenzione del termine "bootylicious" non può essere creditata alle Destiny's Child, il successo del loro pezzo sarà talmente pervasivo che nel 2004 la parola verrà aggiunta all'Oxford Dictionary, per descrivere "una donna sessualmente attraente".
L'era di Survivor si conclude quindi come una delle più floride per la storia del franchise, il "Destiny's Child World Tour" che parte nel 2002 le porta a spasso per il pianeta e la tappa di Rotterdam viene rilasciata in Dvd.

Di un Natale decostruttivista, di dance tamarra e di una degna conclusione

 

testo220x270nataleSe siete arrivati a leggere fin qui probabilmente siete già al corrente dell'esistenza di 8 Days Of Christmas (2001), ma nel caso vi fosse appena cascato l'occhio su tale misconosciuto progetto stagionale da parte delle Destiny's Child, beh, che dire: tenetevi forte. Partiamo dai pezzi (semi)autografi; ricalcata sul motivo tradizionale di "Twelve Days Of Christmas", la nuova versione della title track, ridotta a soli otto giorni, vede Beyoncé snocciolare una serie di peccaminosi regalini mentre le altre due ricamano attorno i coretti tipici del motivo e il risultato è tutto tranne che adatto al Natale. Oltre a titolo e testo, anche "Winter Paradise" mostra zero atmosfera natalizia, sia melodicamente che in fase di arrangiamento, ma anzi vede le ragazze armonizzare come fossero ospiti su un pezzo delle All Saints prodotto da William Orbit. E poi c'è "Spread A Little Love On Christmas Day", altro momento tipico del melodismo r&b dell’era Y2K, sempre in tonalità minore e sferzato da continue interferenze elettroniche.
I rifacimenti tradizionali passano dal curioso al bizzarro al violentemente kitsch senza apparente soluzione di continuità; basti il celebre motivo di "White Christmas", qui messo a mo' di intermezzo in una versione breve, per mettere in mostra lo spirito lisergico e vagamente decostruttivista di 8 Days Of Christmas: produzione moderna e patinata, pose sexy fuori luogo, ma anche una strana perizia tecnica da parte di tre ragazze ormai capaci di muoversi a occhi chiusi su armonie oblique e ritmiche complesse - "Opera Of The Bells", interamente a cappella, si posiziona a cavallo tra tradizione cristiana e... Meredith Monk?
La marcetta "A 'CD' Christmas Medley" farcisce come un tacchino circa sei motivi tradizionali in quattro minuti di pimpante e gaio electro-funk-pop, creando un misto tra curiosità, divertimento, cattivo gusto e mal di testa. Su "Silent Night", la sola Beyoncé parte per la tangente costringendo continui cambi di armonia a furia di melismi e licenze poetiche, mentre sulla confusionaria e pasticciata resa di "Little Drummer Boy", a cavallo tra hip-hop e certe fusioni pop-jazz degli Steely Dan, appare pure ospite Solange, che nel frattempo è stata messa dal padre a lavorare come corista e ballerina durante gli show delle ragazze.
La bella voce di Kelly riesce a donare un momento vagamente più tradizionale col rifacimento del canto pastorale "Do You Hear What I Hear", mentre Michelle si accolla "O Holy Night" su una jazzata base da pianobar in una balera sul Mississippi. Presto, con "Platinum Bell", siamo di fronte a una decostruzione tecnica, e "This Christmas" sgancia un breakbeat balearico da bikini succinti, cocktail tropicali e compilation "Hotel Costes" in uno stereo in riva al mare - atmosfera sempre ficcante per il 25 di dicembre, no?

Era probabilmente dal 1968 di "Peace" dei Rotary Connection che non veniva prodotto un album natalizio così sonicamente avulso dall'idea del Natale, ed è quindi a dir poco bizzarro pensare che sia proprio 8 Days Of Christmas delle pilotatissime Destiny's Child a fornire tale idiosincratico momento. Nonostante la band sia attualmente in vetta alle classifiche di tutto il mondo, il disco non ottiene grande successo, in parte per la comunque poca pubblicità da parte del management di Knowles, e in parte perché il disco stagionale è ancora considerato un capitolo a parte nella vita discografica degli artisti pop.
Ma in un certo senso le Destiny's Child perdono il treno; nel 2003, infatti, il successo della commedia romantica "Love Actually" riporta in vita, per la prima volta in un decennio dalla pubblicazione, una certa "All I Want For Christmas Is You" di Mariah Carey, iniziando un lento ma inesorabile effetto a catena che trasformerà il pezzo in un classico e la sua autrice in una sorta di madrina ufficiosa della stagione. Ma per 8 Days Of Christmas il seguito rimane tutt'oggi circoscritto a pochi nostalgici fan - la sua natura bizzarra, francamente, lo rende un ascolto inadatto a qualsiasi momento dell'anno.

 

testo220x270xRispetto a quanto ascoltato sopra, This Is The Remix (2002) suona quasi come un normale album di studio. Come per abitudine nel mercato discografico dei tempi, diversificare l'offerta tra le varie sotto-classifiche di genere aiuta rinforzare le hit principali (lo sanno bene sia la regina del remix anni 90 Mariah Carey, che la sua copiona Jennifer Lopez), così anche le Destiny's Child si mettono di buzzo buono per stravolgere e rileborare alcuni dei loro momenti più noti. "Say My Name" è totalmente irriconoscibile sotto la mano di Timbaland, mentre la ballata "Emotion" viene trasformata dalla lieve mano dei Neptunes in un terso ed elegante midtempo. Fa nuovamente capolino Wyclef Jean, che svezza "Bug-A-Boo" in un ben più adulto momento a cavallo tra hip-hop e neo-soul, e compare addirittura un remix di "Dot", canzone incisa per quella stessa colonna sonora di "Charlie's Angels" che ci aveva già dato "Independent Women Part 1".

Il dj Maurice Joshua mette mano a quattro pezzi di This Is The Remix col chiaro intento di espandere il raggio di azione delle Destiny's Child verso la Dance Chart; se "Nasty Girl" mantiene l'impronta r&b, l'altro singolo "Jumpin' Jumpin'" viene presentato in un medley da oltre sette minuti, con tanto di entrata del ritmo nu-disco a metà pezzo e le presenze degli inserti rap di Da Brat, Jermaine Dupri e Lil' Bow Wow, ma soprattutto mescolando la prima versione incisa assieme a LaToya e LaTavia con l'altra rielaborata con le nuove entrate Farrah e Michelle, per un totale di sei voci in uno. Ma con "Bills, Bills, Bills" e "So Good" Maurice parte per la tangente di una techno-eurodance in costante bilico tra il tamarro (la prima) e il mediamente radiofonico (la seconda).
Peccato poi che la nuova versione di "Bootylicious", ideata da Rockwilder con l'assist di Missy Elliott, non si avvicini minimamente alla perfezione dell'originale, ma la hit è stata un bel successo e i nomi di richiamo sono grossi, così dalla Columbia danno l'ok per girare un nuovo videoclip promozionale nel quale le ragazze adottano un look più hip-hop per complementare i beat impiegati. Il totalmente fuori posto "Heard A Word" è un inedito lento di gospel che ritroveremo poi nella carriera solista di Michelle Williams, che infatti anche qui ne è l'unica interprete.
Nel complesso anche This Is The Remix è più una curiosità per fan sfegatati che non un ascolto dedicato al grande pubblico, me è comunque un altro tassello che va a rimpinguare le già cospicue vendite di un gruppo nel pieno del proprio successo mondiale.

Il rientro ufficiale in pista con Destiny Fulfilled (2004) chiude più che degnamente l'avventura discografica.
"Lose My Breath" è il loro ultimo grande singolo da Top Ten, un concitato slancio ritmico ideato con una marching band tutta tamburi e rullanti e poi incastrato dentro a quel sample mediorientale che forza le interpreti a farsi scattanti come gazzelle per starvi dietro - ma, al contrario del titolo, le tre ragazze il fiato non lo perdono nemmeno per un attimo, dimostrando tutto quel procace entusiasmo che, con le TLC ormai dissolte dopo la tragica morte di Lisa "Left Eye" Lopes, le ha rese l'ultima grande girlband dell'r&b:



Molto più minimale, invece, l'altro singolo "Soldier", imperniato su un unico, vischiosissimo beat sintetico: il pezzo viene tenuto in vita sia dalla presenza di T.I. e Lil' Wayne che da una struttura a tre dove Kelly e Michelle si mettono a turno al timone accanto alla solita Beyoncé per un effetto più equamente distribuito. Grazie alla pesante rotazione nei club urban/hip-hop dell'epoca, il pezzo ritocca la Top Ten in varie nazioni, confermandosi come quell'inno sboccato e stradaiolo che si mette in tralice contro ai soliti temi di emancipazione presentati dal gruppo. Diversi anni più tardi, durante una routine di stand up, un giovane Donald Glover in versione comico impiegherà proprio due canzoni delle Destiny's Child per illustrare il grattacapo delle contraddizioni dell'universo femminile: la vecchia "Bills, Bills, Bills", dove le ragazze pretendono un uomo responsabile e finanziariamente in grado di mantenerle, e la controparte di suddetta "Soldier", dove invece le tre fanno le moine a un promiscuo spacciatore di strada che non ha certo intenzione di pagare l’affitto.
Gli altri due singoli estratti mettono in mostra la varietà stilistica ormai raggiunta sia dalle ragazze che dallo standard dell'r&b del nuovo millennio; "Cater 2 U" è una tipica ballata in midtempo con un finale dove Michelle prende il sopravvento grazie al suo carismatico timbro vocale a tratti quasi reminiscente di Macy Gray, mentre "Girl" è il tipico momento di puro pop radiofonico corredato da un celebre videoclip montato come un episodio della popolarissima serie Tv "Sex & The City".

Anche Destiny Fulfilled ottiene un buon successo, per quanto non con i numeri dei precedenti due album - parte dell'attenzione di pubblico è distolta dal fatto che tutti i membri del trio in quel mentre hanno già avviato le rispettive carriere soliste. Ma con sole undici tracce in scaletta e un sound snello e moderno, il disco è una più che degna conclusione discografica alla tutto sommato breve ma ampiamente movimentata carriera del franchise Destiny's Child.
La presenza di Michelle, piazzata direttamente a centro pagina nella foto di copertina, può essere quasi vista come un tributo da parte del management di Knowles al suo esser riuscita a mantenere la propria posizione dietro l'onnipresenza di Beyoncé senza creare problemi. Sta di fatto che Destiny Fulfilled è il disco sul quale una Beyoncé ormai lanciatissima come solista sembra voler tornare con nostalgia alle radici di gruppo vocale per un'ultima volta, e Michelle in particolare è più udibile che mai - su "If" a momenti sembra di sentirla interpretare l'animo di Tweet, la forbita cantautrice electro-folk/gospel/r&b che con lo splendido "Southern Hummingbird" un paio di anni addietro ha fornito un'inimitabile pietra di paragone di fusione tra i generi. Fanno specie a tal proposito sia "Free", solare momento gospel, che la drammatica "Through With Love", sulla quale le voci delle tre ragazze si innalzano a turno in un estatico muro di armonie.
Diafana e quasi tropicaleggiante l'atmosfera che si respira su "T-Shirt", mentre "Is She The Reason", "Bad Habit" e "Love" melodicamente saranno sempre il solito canone, ma l'impalcatura di contorno, tra violini e arpe sintetiche, dona ai pezzi una tridimensionalità produttiva sicuramente inedita rispetto ai tempi del ben più piatto e plastificato primo paio di album.

Nonostante le carriere soliste ormai avanzate, Destiny Fulfilled viene onorato da un tour d'addio e la tappa di Atlanta del 2005 viene pubblicata in Dvd come ultimo lascito ai propri fan. Beyoncé, Kelly e Michelle chiudono l'avventura Destiny's Child al momento esatto, salvandone la memoria per i posteri e, soprattutto, mantenendo tra di loro un forte rapporto da sorelle che perdura tutt'oggi. Ci sarà posto per un piccolo inedito anni più tardi, ma soprattutto Beyoncé chiamerà le ex-colleghe a darle man forte durante l'esibizione al Super Bowl e sul palco del Coachella per uno storico concerto. Kelly e Beyoncé faranno poi presenza accanto a Michelle per il suo singolo gospel "Say Yes", Beyoncé e Michelle saranno ospiti su un pezzo di Kelly solista.

Dal punto di vista discografico, tra le varie raccolte più o meno ufficiali che spunteranno come funghi in giro per il globo, vale sicuramente l'ascolto di #1's (2005), che, pur nelle varie versioni in cui viene immessa nei diversi mercati, inanella tutti i grandi successi delle ragazze sin dai tempi degli esordi e crea una panoramica storicamente rilevante per lo sviluppo del rhythm'n'blues americano a cavallo tra vecchio e nuovo millennio. Certo, nel mezzo della scaletta compare "Check On It", collaborazione di gran successo della sola Beyoncé con Bun B e Slim Thug tratta dal rifacimento cinematografico della “Pantera Rosa”. Ma il bilancio rimane comunque impressionante: in soli sette anni di attività, le Destiny's Child sono riuscite nell'impresa di mandare a verbale una discreta trafila di hit, al punto che, sull'onda della nostalgia di pubblico e dell'hype attorno alle nuove carriere soliste, #1's debutta direttamente al n.1 di Billboard e finisce con lo smerciare un paio di milioni di copie al mondo. Gran parte delle fondamenta sulle quali Beyoncé costruisce la propria immagine di icona del nuovo millennio affondano proprio nel lavoro presentato da una raccolta come #1's.

Spetta comunque a Love Songs (2013) fornire l'ultima uscita ufficiale del gruppo, tramite una raccolta dei loro momenti più soffusi e romantici e che onestamente non valgono il prezzo del biglietto. La collezione si distingue però per la presenza di un inedito registrato appositamente per l'occasione, ovvero il nu-electro-r&b di "Nuclear", conclusione parca ed elegante per una storia che onestamente ci ha spesso dato tutt’altro.

Destiny's Child

Discografia

Destiny's Child(Columbia, 1998)
The Writing's On The Wall(Columbia, 1999)
Survivor(Columbia, 2001)
8 Days Of Christmas(disco natalizio, Columbia, 2001)
This Is The Remix(remix album, Columbia, 2002)
Destiny Fulfilled(Columbia, 2004)
#1's(raccolta, Columbia, 2005)
Love Songs(raccolta, Columbia, 2013)
Pietra miliare
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