Due amici, fra cui un cantante riluttante, una take di batteria e una di chitarra; ogni canzone come dovesse essere ogni volta la prima e l'ultima della band. Tornano i Japandroids, tre anni dopo il fortunato e adrenalinico esordio "Post-Nothing". Otto nuovi anthem liberatori, inni punk e pop antidepressivi, con un'urgenza comunicativa non comune fra le band indie in circolazione.
Dai fuochi d'artificio che aprono e chiudono l'album, alle tracce vocali e ai testi urlati come se fossero cantati dal pubblico ai concerti, tutto è tanto immediato quanto essenziale allo scopo. Ricreare entusiasmo e un alto volume sonoro ed esistenziale, attraverso colpi di cassa forsennati, distorsioni di chitarre e melodie gridate fino a rimanere quasi sempre senza voce.
Con i Replacements come primaria fonte d'ispirazione, tra rituali della giovinezza ("Younger Us") e redenzioni sentimentali ("Fire's Highway "), cover chiassose (la storica "For The Love Of Ivy" dei Gun Club), spensierate dichiarazioni d'intenti ("The Nights Of Wine and Roses") e contemplazioni conclusive (il lento "Continuous Thunder"). Trentacinque minuti di un incontro immaginario tra gli eroi hardcore Hüsker Dü e quelli noise-pop Dinosaur Jr. E se certi strappi vocali fanno venire in mente i Fucked Up, l'attitudine e l'umore rimangono sempre su di giri e mai depressi, oltre che fragorosamente lo-fi, con alcune affinità con le recenti uscite surf-pop degli Wavves e punk dei No Age.
A testimonianza poi di una maggiore padronanza compositiva, si propongono i ricorsi epici del primo singolo "The House That Heaven Built", nel quale anche le liriche di Brian King, di solito non particolarmente raffinate - ma non è sempre il momento di profondità metafisiche - cercano di ritagliarsi uno spessore più ampio: "Where everything evil, disappears and dies; when they love you and they will, tell them all, they'll love in my shadow, and if they try to slow you down, tell them all, to go to hell". Yeah.
"Heaven" e "Hell", due termini che ricorrono spesso in questa rincorsa paradigmatica e senza vie di mezzo verso una sorta di finale perfetto. E viene in mente il recente passato di Brian, che ha rischiato di morire subito poco dopo l'uscita di "Post-Nothing" per un'ulcera perforante. O la stessa sofferta vicenda della band: a fine 2008 era stata presa la decisione di chiudere l'esperienza Japandroids e l'ultimo atto sarebbe stata l'uscita, per loro e per pochi amici, di "Post-Nothing". Poi la canzone "Young Hearts Spark Fire" iniziò a farsi sentire nei circuiti giusti e l'album venne presto considerato come una delle rivelazione della stagione.
I Japandroids ci sono ancora, e suonano più forte e rumoroso che mai. Dopo tre anni, di cui due spesi in tour in giro per il mondo, il duo di Vancouver si ripresenta con questa nuova cerimonia rock, ancor più compatta e consapevole, ma non per questo meno vitale e contagiosa.
08/06/2012