Jherek Bischoff - Composed

2012 (The Leaf Label)
avantgarde, orchestral pop

Due parole due, tanto per rendersi conto di chi sia questo signorino dal nome atipico e quale il suo peso nel circuito indipendente americano. Fondatore, assieme a Zac Pannington, della straordinaria avventura a nome Parenthetical Girls, collaboratore ad ampio raggio per gli oramai sciolti Casiotone For The Painfully Alone, musicista e arrangiatore per progetti di varie band dell'underground statunitense (dai Los Campesinos! agli Yacht, per menzionarne due fra le tante), il Nostro è uno che con il proprio talento multiforme ha concorso a stilare alcune delle pagine più avvincenti della musica dell'ultimo decennio. Uno che la reputazione se l'è costruita passo dopo passo a suon di collaborazioni una più singolare dell'altra, in un disegno artistico in cui si fondono immediatezza pop ed esplorazione sonora d'avanguardia.

Le sue impressionanti doti di alchimista musicale erano già ben visibili nel suo debutto solista, risalente al 2006, nel quale si sposavano con somma maestria esili trame cantautorali, tornite superfici sperimentali, finanche richiami alla musica concreta e all'industriale. Niente però avrebbe permesso d'intuire quale succulenta leccornia stesse lasciando bollire in pentola. A fuoco lentissimo, e occupandosi nel frattempo di altro (tra cui la realizzazione dell'imponente pop-opera "Privilege" assieme alle sue "ragazze parentetiche"), Bischoff ha impiegato più di un lustro per dare alle stampe "Composed", opera che porta impresso il marchio della consacrazione, ponendone l'autore di diritto tra le menti più acute e perspicaci di questi ultimi tempi.

E come quanto c'è di più bello al mondo, anche in questo disco gli elementi di partenza sono tutt'altro che complessi - piuttosto la loro semplicità risulta bella vivida, lampante alle orecchie dell'ascoltatore. Attenzione però a non accusare di banalizzazione l'operazione intera, perché di banalità non ve n'è la benché minima traccia. È al solito nell'abilità dell'artista di trasfigurare e ripresentare in una nuova sintesi lineamenti e spunti rientranti oramai nella convenzione che risiede l'"originalità" di questi tempi, e Jherek Bischoff ha tutte la carte in regola per non difettare in alcun modo di tale caratteristica. In principio fu dunque il pop orchestrale, quello abbondantemente sviscerato da personaggi del calibro di Burt Bacharach e Scott Walker, per approdare alle più recenti proposte di Neil Hannon, Rufus Wainwright e Richard Hawley. In principio, appunto, perché Jherek non ci sta ad essere etichettato come la new sensation di un certo filone variamente pop e variamente alternativo, ma balza avanti e indietro nel tempo, teso alla costante ricerca dell'abito più sontuoso con cui rivestire le proprie composizioni.

Compositore, composizione, "Composed": non è una coincidenza che questa radice semantica ricorra spesso tra le righe della recensione. Il tema del comporre è, infatti, il perno attorno cui ruota l'asse del lavoro, un comporre che va inteso però più nel senso "colto" datone da geni visionari della portata di Ravel e Satie, che solo in una fase successiva viene passato al frullatore e risputato con un'urgenza del tutto attuale, allo stesso tempo lontanissima da ogni forma di posticcio modernariato. Nelle otto canzoni (nove, se si considera la fugace, e comunque eccitante, ouverture per soli archi) lo statunitense giunge a un utilizzo dell'orchestra che sì rimanda irrimediabilmente alla sua fruizione in ambito cinematografico, ma riesce a guardare oltre, verso commistioni inaspettate e atipiche.
Sprovvisto di un vero e proprio corpus di strumentisti, non fosse semplicemente per ovvie questioni di budget, Jherek ha registrato volta per volta le varie parti suonate (e cantate) da ciascuno dei collaboratori, per assemblarle soltanto in un secondo momento - una prodigiosa catena di montaggio in cui il prodotto finale non tradisce minimamente la sua effettiva natura.

Di certo, alla fine dei giochi questo non si rivela essere un problema; i segreti e gli stimoli che si annidano nelle pieghe dei brani regalano un'esperienza d'ascolto di elevatissimo spessore, adornata dalle preziose collaborazioni che costellano il cammino del disco. Dall'inizio sino alla fine è una carrellata di alcune delle voci più emozionanti e straordinarie del panorama musicale mondiale, atte a impreziosire la policromia delle soluzioni musicali messe in campo. Nessuna sorpresa quindi se ci troviamo di fronte a un David Byrne dandy navigato nello pseudo-bolero di "Eyes". Ancor meno ci si meravigli di come le passionali flessioni di Caetano Veloso vengano scaraventate negli stacchi e nelle ripartenze di "Secret Of The Machines", sorta di Arcadia della meccanizzazione, in cui macchine e ingranaggi (simulati dal pizzicato dei violini), con una squisitezza poetica, rivelano nel loro intimo un calore del tutto umano. Bischoff sfrutta personaggi conosciuti e li traspone in contesti inusuali, approfondendone versanti che finora erano rimasti a vagare nella penombra.

Non che il resto sia di minore rilevanza; d'altronde, come potrebbe esserlo, quando ci troviamo di fronte a una delle migliori interpretazioni di sempre della signora Carla Bozulich, ancora più blues che nelle sue prove soliste, con un tormento che si fa flebile aria ottocentesca ("Counting", ascoltare per credere)? Oppure, come non inoltrarsi nelle atmosfere silvane di "The Nest", in cui Mirah Zeitlyn risorge come nuova Papagena a cantare il proprio struggimento d'amore? E pur nell'imponente parata di nomi che continuamente si cedono il posto (da segnalare anche lo squisito e leggerissimo crescendo di "Your Ghost", sottolineato dalla grazia femminea del timbro di Craig Wedren) l'effetto-compilation viene scongiurato dall'accorta direzione del Nostro, che sfrutta l'elemento vocale come asso nella manica, senza mai concedere ad esso la predominanza assoluta.

La rigorosa, ma disarmante, efficacia espressiva di "Composed" segna un nuovo traguardo raggiunto nell'ambito del pop orchestrale, uno straordinario vademecum nel quale passato, presente e futuro si controbilanciano con sorprendente facilità. E tanto basta (si fa per dire) per renderne un album prodigioso, tra le vette di questo 2012.

L'album è in streaming integrale su Bandcamp.

27/06/2012

Tracklist

  1. Introduction (Defeat)
  2. Eyes (feat. David Byrne)
  3. The Secret Of The Machine (feat. Caetano Veloso and Greg Saunier)
  4. The Nest (feat. Mirah Zeitlyn and Paris Hurley)
  5. Blossom (feat. Nels Cline)
  6. Your Ghost (feat. Craig Wedren)
  7. Counting (feat. Carla Bozulich)
  8. Young And Lovely (feat. Zac Pennington and Soko)
  9. Insomnia, Death & The Sea (feat. Dawn McCarthy)

Jherek Bischoff sul web