Quindicesimo album della seminale band inglese, terzo con la formazione originale (cui purtroppo va tolto il compianto Paul Raven, sostituito da Martin "Youth" Glover), "MMXII" è un'opera che, nonostante il titolo, è per molti aspetti anacronistica.
Il precedente "Absolute Dissent" del 2010 ci aveva impresso un'immagine aggressiva e primitiva, simbolo di una nuova primavera di bellezza di Coleman e soci. Grazie a un approccio punk, metal molto energetico, non privo poi di fuoriuscite furbesche e interessanti come "European Super State", si riusciva comunque a godere di un lavoro afflitto da lacune stilistiche. E soprattutto povero di quella matrice alienante industriale/post punk che aveva caratterizzato i loro classici.
Inutile qui evidenziare una rinnovata assenza di questi elementi. Ormai perduti, o meglio, polverizzati tra le vicissitudini naturali della band. Piuttosto è importante soffermarsi su come i Killing Joke abbiano perso di vista la scia del rinnovamento. Quella ricostruzione della propria energia vitale che avevamo scorto nel 2010.
Purtroppo tra i nove minuti dell'opener "Pole Shift" troviamo già i sintomi di una strana forma virale di apatia ormonale. Dopo un finto-etereo svolgersi in ascesa della voce di Coleman, sorretto da chitarre distorte e batteria dritta, si ha un'esplosione rabbiosa e rauca. Piatta e indolore, quasi fosse racchiusa da una campana di vetro. Questo pattern si ripete ritualmente fino alla chiusura, per poi copiarsi nella successiva "Fema Camp", il suo gemello eterozigote. "Rapture" e "Colony Collapse" mantengono una simile struttura in bilico tra heavy e thrash. Riff stretti e aggressivi, sorretti da forti accelerazioni per raggiungere momenti più melodici e lisergici. Il primo cambio interessante lo si avrà in "Corporate Elect", dall'evidente anima motorheadianama che vira più di una volta dentro se stessa, arrivando a un punto di combustione di livello metallurgico.
Se quello che è successo fino ad ora sembra una versione più ruvida e "adulta" di quanto fatto dagli Helmet di "Unsung", è con "In Cythera" che dobbiamo porci dei dubbi più complessi. Qui l'anima più pop è esaltata tra le nebbie informi di un periodo di mezzo. La vena anni 80 che era fuoriuscita in "Absolute Dissent" e che sfiorava i Depeche Mode è dispersa in favore di un malinconico anonimato. Se non fossimo di fronte ai Killing Joke, si potrebbe tranquillamente liquidare come un singolo pop-rock di metà anni 90.
La parentesi melodica è breve e lascia subito spazio alle ultime cartucce del disco. Tra queste, la sghemba e zoppicante "Trance" riesce a raggiungere un buon equilibrio tra ritmiche metalliche ipnotiche e vocals filtrati e loopati. Uno sfumarsi lento che nella conclusiva "On Alll Hallow's Eve" assurgerà a un cielo notturno ma opaco. Qui si raccolgono insieme melodie oniriche in una linearità sfumata. Quasi fosse una conclusiva nemesi della violenza subita nel disco, ci troviamo rassicurati e tranquillizzati tra i ritmi semplici e appena distorti attorno a noi. Peccato che tutto tenda a ripetersi in inutili ascese pseudo-liriche che spogliano il suono delle buone intuizioni iniziali.
Per cercare di fare un po' d'ordine tra le diverse e contraddittorie impressioni in cui siamo incappati, possiamo dire che il nuovo Killing Joke soffre di un disturbo dell'identità temporale. Per quanto il precedente fosse riuscito a imporsi nel presente, "MMXII" si trova invece rinchiuso in un limbo stilistico da qualche parte gli anni 90. La violenza ostentata e riproposta vive di un'impotenza di comunicazione, perdendosi in brani lunghi in cui l'antico elemento tribale è in gran parte assente. Ci è mostrato uno scenario piatto e desertico, simile all'artwork, con le sue fabbriche innestate su terra rossa sterile, marziana, ma è una visione dissociata che non riesce a scalfire o penetrare un'urgenza contemporanea di denuncia o di comunicazione.
Sicuramente non un disco pessimo, ma tristemente inconcludente.
05/04/2012