Peaking Lights

Lucifer

2012 (Mexican Summer)
psichedelia, dub

Take me, I am the drug
Take me, I am hallucinogenic.
Salvador Dalì

Appena un anno dopo l'ottimo riscontro e il quasi-hype di "936", la stravagante coppia californiana composta da Aaron Coyes e Indra Dunis si ripresenta con la sua peculiare soluzione, stilistica ed estetica, di psichedelia, flower-power, dub e indie 2.0. Tra i tratti distintivi che rendevano "936" un disco inconfondibilmente figlio dei Duemila c'è anche quella patina di sozzume volutamente in bassa fedeltà, in prossimità dei vari Sun Araw, Forest Swords e Julia Holter, che in questo "Lucifer" per la prima volta pare venir meno.
La principale sorpresa di "Lucifer" rispetto ai predecessori è infatti un'evidente ripulitura del suono da quel rozzo strato lo-fi che pure contribuiva non poco all'aura trasognata di "936", insieme a una più generale cura dei dettagli e a nuovi escamotage squisitamente psichedelici.

L'album si avvia adagio sui paciocchi dreamy di "Moonrise" e i semplici motivi di "Beautiful Son", disordinata accozzaglia di immagini estive e ricordi d'infanzia: si tratta dell'unico brano vero e proprio, dal quale si può già comprendere quanto e come la formula dei Peaking Lights si sia liquefatta - specialmente rispetto ai loro precedenti episodi - perdendosi felicemente nel caos e nella destrutturazione.
Il che non vuol dire, però, che in "Lucifer" trionfino anarchia e informità: infatti, si tratta paradossalmente dell'album più curato e articolato partorito finora dai due, in cui, oltre al facile effetto-sbornia, affiora anche una certa meticolosità tecnica, per quanto tali caratteristiche possano adattarsi alla psichedelia.

Perché è pur sempre dalle parti di allucinogeni e psicoattivi vari che l'album ci conduce: "Live Love" e "Cosmic Tides" immergono definitivamente in un good trip di Amazzonie assolate e neuroni inselvatichiti dal peyote. La voce della Dunis arretra a pura e ammaliante eco, imprescindibile per la riuscita di ogni pezzo, mentre il centro della scena è occupato da groove sciolti e arroventati, che spingono sullo sfondo le chitarrine e le melodie rudimentali che di "936" furono tra i tratti somatici più evidenti.
Ci ritroviamo ancora danzanti su qualche spiaggia equatoriale al chiaro di luna e di qualche falò sparuto in lontananza, tra le movenze sinuose in odor di dub di "Midnight (In The Valley Of Shadows)", quando lo psichedelico raggiunge il suo culmine con l'attacco di "Lo Hi", continuo viaggio stupefatto tra festini balneari e cerimonie tribali con lo spirito di Augustus Pablo a presenziare i rituali. "Dream Beat" quindi non è altro che un ammucchiamento gioioso e intontito di tutti gli stratagemmi psichedelici in musica, al fine di prolungare l'esperienza, riuscendo a mantenerci per sei minuti e mezzo in uno stato di appagata ubriachezza, prima dell'offuscamento finale di "Morning Star" che, come ogni ritorno "al di qua" dell'esperienza ordinaria, dissolve l'allucinazione in una serie di immagini sfocate e incomprensibili.

"Lucifer" è in definitiva l'episodio con cui Coyes e Dunis dimostrano di essere qualcosa di più di un buon fenomeno indie-pop del tutto estemporaneo e, benché ancora lontani dalla perfezione, i due lasciano intuire (o sperare) di avere in mano le chiavi di un modo di intendere e fare psichedelia del tutto nuovo e incredibilmente seducente.

When you're tripping, the idea of race disappears, the idea of sex disappears;
You don't even know what species you are sometimes.
Ken Kesey

03/07/2012

Tracklist

  1. Moonrise
  2. Beautiful Son
  3. Live Love
  4. Cosmic Tides
  5. Midnight (In The Valley Of Shadows)
  6. Lo Hi
  7. Dream Beat
  8. Morning Star

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