Eppure sarebbe il caso di non farne esclusivamente una questione di nazionalismo strapaesano, anche perché un lavoro come "Strange Weekend" merita molto di più. Il nostro uomo dimostra infatti di aver assorbito con estro prontamente ricettivo le vibrazioni più calde di questa nostra contemporaneità musicale spesso così imprevedibile, ricomponendo le molte vie del suo work in progress in un sound gassoso e luminescente, capace di avvolgersi in morbide spirali di suono rarefatto e di insinuarsi così negli strati più fluttuanti del pensiero.
Si potrebbe partire da "The End Of Silence" (o da "The Way In") per orientarsi nella proposta di Porcelain Raft, individuandone gli elementi salienti: una grazia delicata di voci e melodie in dormiveglia, pulsazioni che forse guardano alla musica house o forse no e, su tutto, la caligine carezzevole di synth che ammorbidiscono i contorni in un tenue luminismo atmosferico, fatto di macchie di colore e corpuscoli sottili. I pigmenti new age di "Is It Too Deep For You?", la brina scricchiolante di "Drifting In And Out", la luce rugiadosa e densa, quasi lattea, che si rovescia sulle geometrie di "Put Me To Sleep", potrebbero far venire in mente (era già accaduto con la Casa del Mirto) mostri ormai sacri della premiata bottega chillwave del rango di Washed Out, Neon Indian o Memory Tapes, al pari di M83 (per i quali Remiddi aprirà il concerto italiano), Mgmt (sentite "Unless You Speak From Your Heart", hit potenziale) o di certe invenzioni di Daniel Lopatin. Legami e similitudini senza alcun dubbio credibili, ma occorre aggiungere che il canzoniere spremuto da "Strange Weekend" brilla e convince per la sua compiutezza in sé, per la forza di un'ispirazione gagliarda e originale.
"Strange Weekend" si propone così come una sorta di manifesto paradossale: è questo infatti il dream-pop immaginato da corrieri cosmici in pantofole nella solitudine metropolitana dei loro monolocali in subaffitto. È questo il suono abulico e tenerissimo della nostra solitudine disperatamente autosufficiente. In punta di piedi, sussurrato con la voce bassa (per non disturbare gli altri inquilini) e con le persiane abbassate. Che sia giorno o notte poco importa. Le città non dormono mai.
(28/01/2012)