Che qualcosa sia mutato in Kozelek rispetto al passato lo si deduce già guardando la copertina, su cui troneggia una scritta asettica in completo contrasto con quelle immagini oscure e nostalgiche che avevano distinto le sue opere precedenti. Anche i titoli delle varie canzoni sembrano scritti di getto, senza una pianificazione particolare ("Track Number 8", "I Know It's Pathetic But That Was The Greatest Night Of My Life"); e la sensazione che manchi un progetto si trasporta durante tutto l'ascolto del disco, molto lungo e pieno di riempitivi.
Sotto il profilo strettamente musicale non c'è molto da segnalare, se non che è stato messo da parte l'esperimento di "Admiral Fell Promises" in cui gli arrangiamenti erano ridotti al binomio voce-chitarra classica: ricompaiono invece le batterie spazzolate ("The Moderately Talented Yet Not So Attractive Middle Aged Man", "The Winery"), i rinforzi corali e qualche raro contrappunto elettrico ("King Fish"). Ma il californiano è pur sempre uno dei più grandi cantautori della nostra epoca, e canzoni come la title track, "Sunshine In Chicago" o la nenia oscura "That Bird Has A Broken Wing" - tutti potenziali nuovi classici - stanno lì a dimostrarlo.
A svettare nettamente sul resto è "Uk Blues", divertente racconto di alcuni cliché nei quali l'autore s'imbatte durante i tour, nella quale Mark sfoggia un'insospettata verve comica ("Tried a few new songs/ They looked at me like what?/ Where's Katy Song, Mistress/ Grace Cathederal Park?", "Turned on the the TV/ There was rioting and stuff/ As If this city/ Isn't depressing enough/ London London/ It's all the rage/ If your favorite color is beige", "Bristol Bristol/ Cobble stone streets/ People missing teeth").
L'impressione finale è però quella di un lavoro riuscito a metà, che sarebbe stato certamente migliore se fosse uscito tra qualche anno, dopo un'accurata cernita dei brani.
(29/07/2012)