Quarto lavoro sulla lunga distanza per la formazione di Montreal, a tre anni giusti dal riuscito “…Are The Roaring Night”, il quale riuscì a guadagnarsi la meritata nomination ai Polaris Prize, gli ambitissimi Grammy canadesi, nei quali la concorrenza è sempre importante e agguerrita.
Stessa sorte era toccata nel 2007 al precedente “…Are The Dark Horse”, parliamo quindi di una band assolutamente apprezzata in patria, ed in costante ascesa anche oltre confine.
Alla guida del quartetto c’è sempre la coppia (tale anche nella vita) Jace Lasek ed Olga Goreas, rispettivamente chitarra e basso, oltre che voci e principali compositori.
Dentro “Until In Excess” non ci sono nuove “Devastation” o “Light Up The Night”, ovvero quei pezzi che possono cambiare la giornata per l’ascoltatore e la carriera per l’esecutore.
Tutto risulta vagamente più lento e cinematico (e lo ritengo comunque un complimento), anche se pur sempre pregno di innata eleganza.
Sin dalla copertina si scorge una sorta di rappacificazione dei sensi: per la terza volta si affidano alla pittura della connazionale Corri-Lynn Tetz, e per la prima volta non compaiono fiamme e scenari apocalittici, bensì un paesaggio dove tonalità di verde e azzurro tendono a essere predominanti.
Gli otto episodi di questa nuova avventura restano costantemente legati a un percorso atmosfericamente rock, all’interno di strutture diluite, con nessuna traccia disposta a scendere sotto i cinque minuti.
La materia trattata è classificabile come un mix fra classic-rock (tendente in alcuni momenti al prog) e light shoegaze (tendente in alcuni momenti al dream-pop), con i synth che disegnano architetture epicamente melodiche e le chitarre che contrappuntano ritmiche e pochi misurati soli.
Malinconia, introspezione, alcune punte drammatiche, landscape trasognati, qualche puntata di sana elettricità, ma tutto appare un po’ troppo calcolato, in un album che difficilmente amplierà i consensi per i Besnard Lakes, ma che potrebbe riuscire nell’intento di consolidare la schiera dei vecchi fan.
L’unica traccia concepita come una song “canonica” è il singolo “People Of The Sticks”: a lei tocca questa volta il compito di scardinare le resistenze dei potenziali nuovi adepti.
Dalla parte opposta dello scenario si pongono i droni in fade out che chiudono “Alamogordo”, a confermare quanto eclettica e variegata, ma sempre qualitativamente eccelsa, sia la scena canadese di questo primo scorcio di nuovo millennio.
04/04/2013