Leggere la news di un nuovo album di Bonobo, nel 2013, suscita inevitabilmente una non-risposta annoiata, imposta dall’immediata associazione del marchio all’ordinaria amministrazione di un chill-out vetusto e prevedibile. Nulla contro il buon Simon Green, peraltro autore di numeri tutt’altro che disprezzabili anche negli ultimissimi anni, piuttosto la reazione dettata in parte dall’indigestione downtempo di qualche lustro fa, ancora da smaltire, in parte dal marciare sempre più asfissiante di mode e hype che invecchia tutto a velocità doppia. Accantonata però questa falsa percezione iniziale, l’album numero sei della scimmietta di casa Ninja Tunes è un ascolto che merita.
Parte con una marcia tutta diversa, infatti, questo “North Borders”: “First Thought”, bozzolo pop di una freschezza sorprendente, con l’altro veterano dell’etichetta, Grey Reverend, alla voce, il luccicante carosello glitch-techno di “Cirrus”, la calda “Heaven For The Sinner”, segnata irrimediabilmente dai vocals di Erykah Badu, prezzemolino sempre ben accetto, o ancora il trip-hop sonnacchioso e gentilissimo di “Towers”. Beats e groove tessono maglie mai così “black”, eppure sempre morbide e discrete, addolcite dalle frequenti chiose jazz e orchestrali, arpe e archi, come da tradizione Ninja Tunes. La seconda metà dell’album rivela anche alcuni riempitivi (“Know You”, “Ten Tigers”, “Pieces”), senza guastare però la compattezza del lavoro e mantenendosi in qualche modo sempre sulla soglia della piacevolezza e della goduria disimpegnata.
Con “The North Borders” Bonobo aggiorna la sua ricetta in maniera efficace, aggirando il rischio spersonalizzazione e aprendosi senza troppa difficoltà un varco tra i più chiacchierati lavori ultimi di Four Tet, Flying Lotus e, al netto del sostrato “dark”, di William "Burial" Bevan. Lo scimpanzé antropomorfo, maschera del timido Green, ha messo a segno così un altro, inaspettato, colpo di coda.
27/03/2013