Luminal

Amatoriale Italia

2013 (Le Narcisse)
alt-rock, noise, post-punk

Nata solo nel 2005, la formazione capitolina è stata per anni una delle tante band alternative-rock italiane che sguazzavano nella mediocrità e nella difficoltà di emergere, sia per l’implacabile e incalcolabile concorrenza di pari tenore e sia perché, a essere sinceri, non c’era nulla in “Canzoni di tattica e disciplina”, album d’esordio del 2008, così come in “Io non credo” del 2011, che meritasse maggiore attenzione e un interesse pari ad altri grandi esponenti della scena tricolore del terzo millennio. I brani mancavano di mordente, non erano musicalmente insoliti né temerari e così i testi facevano fatica a imporsi, a rapire l’attenzione dell’ascoltatore per poi pugnalarne l’anima. Come se non bastasse, anche dal punto di vista melodico, i Luminal sembravano in netta difficoltà a costruire strutture solide e ammalianti.

Sommati tutti i limiti delle due opere prime ai mezzi scarsi a disposizioni per una piccola band emergente, Alessandra Perna e quello che restava della band dovevano prendere una decisione netta e precisa per evitare di infilarsi in un baratro dal quale sarebbe stato quasi impossibile uscire. Cambia la line-up, sparisce la chitarra e i Luminal diventano un trio e restano sul palco solo Alessandra (basso e voce), Carlo Martinelli (voce) e Alessandro Commisso (batteria).
È sconvolto il modo stesso di congegnare i brani, anche in virtù del fatto che, l’asse portante dell’opera è ora costituito da basso, batteria e voci. Non si parte più dalla chitarra acustica, ma i pezzi sono messi insieme da riff di basso sui quali poggiano i testi, che diventano ancor più vitali in fase compositiva, rispetto al passato. In "Amatoriale Italia" è dalle parole e dal ritmo che nasce la musica. Proprio per questo, oltre che per indovinate e precise scelte stilistiche, proprio i testi presentano caratteristiche ben diverse rispetto agli esordi. Pur permanendo una notevole intelligenza di scrittura, spariscono l’oscurità e le paranoiche illusioni paventate in “Canzoni di tattica e disciplina” e seguenti, e le frasi diventano pugnali, pietre, sputi lanciati con violenza contro il nemico di turno.

La crudezza a volte eccessiva (“Una casa in campagna”, “Blues del maniaco su Facebook”) riesce a non essere mai antipatica e non dà la sgradevole sensazione di essere gratuita con l’unico scopo di attirare le menti dei giovani più ingenui, ancora capaci di stupirsi ed esaltarsi davanti a parole come “sborra” o “scopare”. Anche le volgarità e le bassezze del linguaggio suonano perfette all’interno dei testi e delle canzoni, manifestandosi come una necessità volta a rendere ogni idea e ogni messaggio che si volesse esprimere. In quest’ottica d’immediatezza, si rende condivisibile la scelta della registrazione in presa diretta, che può far storcere in naso ai puristi del suono, ma in realtà rafforza l’ideale filo conduttore tra tutti i quindici pezzi, rappresentato da una grigia patina di sporcizia, disperazione, rabbia.

Le voci di Alessandra e Carlo si scambiano continuamente il compito di raccontare la realtà e l’attualità nel modo più fulmineo possibile e se nella voce di lui traspare un’ironica disillusione (“Una discografia di Cohen”, “Canzone per Antonio Masa”) e grande capacità di favoleggiare, Alessandra, pur non presentando, come del resto il suo compagno di palco, nessuna capacità tecnica particolare, canta con una timbrica da pelle d’oca, come fosse un cyborg indemoniato, una creatura ormai senz’anima (“Giovane musicista italiano, vecchio italiano”) a caccia di creduloni.
Musicalmente non c’è nulla di troppo originale (“Il lavoro rende schiavi" deve molto ai Joy Division) ma il misto di noise albiniano (“Dio ha ancora molto in Serbia per me”, “Essere qualcun altro”, “L’aquila reale”), alt-rock, punk, nello spirito oltre che nel suono, spoken word (“Grande madre Russia”, “L’aquila reale”), folk-rock (“C’è vita oltre Rockit”), lo-fi e post-punk e le sperimentazioni rumoristiche (“Lele Mora”), oltre che gli eccezionali inserti di armonica a bocca, si sposano alla perfezione con le linee melodiche (trascinate quella di “Stella era una ballerina e stava sempre giù”), finendo per abbracciare i gusti sia dei più spregiudicati amanti delle esasperazioni soniche, sia di chi non può fare a meno dei motivi orecchiabili e facili da ricordare (esempio lampante, “Carlo vs il giovane hipster”).

Non ci si faccia traviare dall’apparente banalità dell’opening track - “Donne (du, du, du)" - che sembra essere una trasposizione moderna di un vecchio brano dei Paolino Paperino Band (“La pentola”) perché sarà proprio quel brano a rapire la vostra attenzione e farvi percepire che per i prossimi tre quarti d’ora dovrete far bene attenzione soprattutto a quello che i Luminal hanno da rivelarvi. Preparatevi ad ascoltare la storia triste e violenta dell’Italia, della sua politica fatta di puttane, veline e puttanieri, del web e delle piccole e misere vite di cui è fatto, dei sogni infranti dei giovani che abitano il Belpaese e della nostra scena musicale indipendente.
Nessuno ormai da anni vi ha più vomitato in volto tanta realtà.

25/05/2013

Tracklist

  1. Donne (du, du, du)       
  2. Una Casa in campagna        
  3. Blues maiuscolo del maniaco su Facebook 
  4. Stella era una ballerina e stava sempre giù
  5. Carlo vs il giovane Hipster       
  6. Lele Mora   
  7. Dio ha ancora molto in Serbia per me 
  8. Giovane musicista italiano, vecchio italiano    
  9. Una discografia di Cohen 
  10. Essere qualcun altro
  11. C'e' vita oltre Rockit    
  12. Canzone per Antonio Masa 
  13. Grande madre Russia 
  14. Il lavoro rende schiavi 
  15. L'aquila reale






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