A pochi mesi di distanza dal convincente esordio di “Two By Four”, Franz Kirmann e Tom Hodge tornano a coltivare la loro giovane creatura congiunta sfornando, di nuovo in formato full-length, il secondo parto a nome Piano Interrupted. Una scelta a dire il vero piuttosto azzardata, nata probabilmente dall'esigenza di consolidare nell'immediato la gran varietà di spunti raccolta nel primo capitolo di questa peculiarissima saga, che deve il suo nome alla forma di dialogo tra pianoforte ed elettronica brevettata dai due.
Dopo essersi affidati nel loro primo passo ai saggi consigli di Nils Frahm, i due tedeschi decidono stavolta di fare tutto per conto proprio, avvalendosi solo dell'aiuto del violoncellista Greg Hall e del bassista Tim Fairhall, ingaggiati comunque esclusivamente nel ruolo di session-man. A risultarne è “The Unified Field”, disco che cerca di evolvere il peculiare linguaggio messo a punto nel suo predecessore all'insegna di una massiccia infarinatura elettronica e della ricerca di maggior organicismo tradotta in un approccio più vicino al mondo impro. Una svolta che a dire il vero finisce per non giovare del tutto al sound dell'act, complice il sacrificio del suo lato più magico ed emozionale in favore di un linguaggio più complesso e raffinato.
Il tutto nonostante il trittico d'apertura avesse lasciato presagire una promettente evoluzione di stampo romantico, tanto che i saliscendi di “Emoticon”, la malinconia trasognata di “Two Or Three Things” e le docili convulsioni di “Cross Hands” vanno annoverate fra le gemme più lucenti partorite dal duo. Anche il laconico minimalismo di “An Accidental Fugue” e la pioggia di coriandoli di “Path Of Most Resistance” riescono ancora a convincere, entrando di diritto nella metà migliore e più coinvolgente dell'album. I nodi vengono invece al pettine laddove i due cercano di variare le soluzioni adagiandosi su gelide basi elettroniche (la giocosa ma frivola “Open Line”, la nebbiosa “Darkly Shrining”) o lasciandosi andare a improvvisazioni senz'anima (la jazzata title track, la multiforme quanto vuota “Camera Obscura”, la rhumba cameristica “Lost Coda”).
Pur trattandosi di un potenziale successo mancato e non di un fallimento, questo secondo (e senza dubbio prematuro) episodio della serie Piano Interrupted non riesce nell'intento di tener testa del tutto alle aspettative riposte una manciata di mesi fa sulla coppia Kirmann-Hodge. Cadendo in una tentazione che aveva in precedenza colpito contemporanei ben più “esperti” (Peter Broderick, ma anche lo stesso Frahm), i due portano a compimento un lodevole tentativo di condurre il proprio idioma sonoro veerso un universo più fine e ricercato, perdendo però troppo spesso di vista la componente emotiva dello stesso. Ed essendo quest'ultima sostanza necessaria per non scadere nella forma pura - pertanto elemento fondamentale in un universo, come quello modern classical, dove tale rischio è spesso dietro l'angolo - la consacrazione è, per ora, almeno in parte rimandata.
01/11/2013